I bambini non ci guardano più

Olmo Giovannini inaugura la rubrica "Giovane ragion critica" con un saggio che riflette circa il dialogo tra lo sguardo dei bambini e il cinema contemporaneo.

Ad inaugurare questa rubrica, dedicata ai giovani critici italiani, è il saggio di Olmo Giovannini, nell’ambito della collaborazione tra la rivista e la Cinema Summer School – Seminario residenziale di critica cinematografica, diretto e condotto da Anton Giulio Mancino, al termine dodicesima edizione del Bobbio Film Festival. Il corso, ideato da Paola Pedrazzini per conto della Fondazione Fare Cinema da lei diretta e del Comune di Bobbio, si è svolto a Bobbio (PC) dal 30 luglio al 10 agosto 2022, all’interno del Bobbio Film Festival nell’ambito del progetto Fare Cinema per la direzione artistica di Marco Bellocchio.

Le lezioni sono state tenute da Anton Giulio Mancino con Gianni Canova, Stefano Francia Di Celle, Enrico Magrelli, Alberto Pezzotta, alternate a incontri con Fausto Russo Alesi, Gianni Amelio, Marco Bellocchio, Piergiorgio Bellocchio, Simone Gattoni, Fabrizio Gifuni, Antonio e Marco Manetti, Daniela Marra, Gabriel Montesi, Francesco Munzi, Giuseppe Tornatore.

Ai corsisti selezionati dell’edizione 2022, nonché giurati del Festival, Gabriele Armenise, Corinna Baldini, Zoe Benatti, Pietro Bocca, Matteo Bonfiglioli, Alessandra Borgonovo, Mattia Borgonovo, Paolo Bossalini, Emanuela Cassola, Eleonora Ceccarelli, Giovanni Ceccatelli, Maria Vittoria Chimetto, Federica Corpina, Gaia Courrier, Sabrina Daniele, Salvatore De De Chiara, Valeria Di Brisco, Simone Evangelista, Siria Falleroni, Archimede Favini, Valentino Feltrin, Diego Genovese, Francesco Ghio, Olmo Giovannini, Francesco Gizzi, Andrea Gottuso, Davide Gravina, Mattia Gritti, Daniele Esposito, Adele Insardà, Marianna Iviglia, Sara Longo, Manuel Lucarno, Samira Mancino, Michela Manente, Francesca Marcellan, Brigitta Mariuzzo, Chiara Musicò, Leonardo Nicolì, Alessia Parravicini, Piero Passaro, Irene Pedrelli, Arianna Pignataro, Armando Pio Guerra, Nicolò Pioli (il cui saggio dal titolo Assemblaggio di generi e tecniche. Come il cinema italiano contemporaneo rinnova i propri modelli espressivi è stato già selezionato e pubblicato sul numero 109/1110 di maggio 2023 nella rubrica “Il futuro della critica”, pp. 264-271 dell’edizione cartacea di “Cinecritica”), Alessandro Pomati, Greta Ronchetti, Vincenzo Rossi, Nicola Scamarcia, Lorenzo Scanni, Eugenio Sommella, Celeste Trionfo Fineo, Michela Trotta, Silvia Zanatta, Pietro Zanichelli, a conclusione del Seminario è stato chiesto di presentare un saggio incentrato su una specifica tendenza del cinema italiano contemporaneo.

Il saggio
di Olmo Giovannini

INTRODUZIONE

Non c’è niente di più innocente del “guardare.” Lo squadrare, il fissare, tutte prerogative di occhi vergini alle complessità del mondo, ipnotizzati dalla sua semplice bellezza. Non stupisce quindi che il Bambino -come archetipo- sia sempre stato uno dei soggetti preferiti da cineasti ed autori in quanto profondamente legato all’essenza stessa del cinema: questo sguardo fanciullesco è spesso stato o interiorizzato dalla camera stessa o ribaltato, rendendo il pubblico oggetto della ricerca visiva di numerosissimi bambini cinematografici. Sono il Monello, che ci supplica di liberarlo dal carro dell’orfanotrofio, Bruno, che fissa in camera come se a rubare la bicicletta fossimo stati noi dalla sala, e più di chiunque altro Antoine Doinel, pronto a giudicare tutto il sistema che lo ha trascurato, nel celeberrimo fermo-immagine finale de I 400 Colpi. I bambini ci guardano e purtroppo noi contraccambiamo poco, al di fuori dello schermo.

Negli anni sono infatti stati scarsi i tentativi da parte delle istituzioni di far combaciare le struggenti vite dei bambini nei film con quelle dei loro compagni in carne ed ossa: “[…] se a questi bambini capita, occasionalmente, di andare a vedere un film coi genitori […] ci sono poche possibilità che incontrino Dov’è la Casa del mio Amico? o I 400 Colpi” scrive Alain Bergala nel suo L’Ipotesi Cinema. Sono anche poche le possibilità che il tipo di cinema visto nel multisala sia effettivamente edificante: diffusa è la tendenza a trattare il pubblico più piccolo come un target demografico cui vendere prodotti pensati appositamente per intrattenerlo e nulla più. Insomma, una mancanza di educazione alle immagini e una scarsa offerta, hanno fortemente indebolito le capacità analitiche di intere generazioni esposte precocemente o in maniera errata a immagini bombardanti. E l’Italia è uno dei paesi occidentali più assenti su entrambi questi fronti.

ANALFABETISMO ICONICO: ISTRUZIONE ED INFANZIA

Secondo Gianni Canova: “Siamo il paese a più alto tasso di analfabetismo iconico di tutto l’Occidente.” Gli Italiani non sanno leggere le immagini con cui entrano in contatto, dalla più elementare pubblicità al complesso film d’autore. Questa acuta forma di analfabetismo trova le sue radici nell’assenza di un programma istituzionale che incoraggi l’avvicinamento -non l’insegnamento- del cinema alla popolazione fino dalla tenera età: l’Italia è infatti già stata sanzionata più volte dall’Unione Europea per aver trasgredito l’impegno dei paesi membri a potenziare i suoi programmi di Media Literacy; basta una veloce ricerca su Internet per trovare che secondo l’UE: “l’alfabetizzazione mediatica […] è un’abilita cruciale per tutti i cittadini, indipendentemente dall’età, in quanto li potenzia e aumenta la loro consapevolezza.” Eppure il governo italiano si è attivato in merito alla questione soltanto nel 2015 con la legge 107 della riforma “Buona Scuola,” che prevede il potenziamento delle competenze audiovisive degli studenti, con tanto di sito del Miur che cita testualmente ‘alfabetizzazione all’arte’ fra gli scopi del disegno di legge. E giusto un anno dopo, nel 2016, viene varata la legge 220, con obiettivo la graduale comparsa della media literacy nei curricula scolastici. Per quanto discutibile sia il tentativo di inserire (con più di quarant’anni di ritardo) il cinema all’interno del sistema scolastico, dà comunque speranza sapere che lo Stato abbia finalmente riconosciuto l’importanza della questione. Ma come sottolinea Gianni Canova nel suo “Ignorantocrazia: Perché in Italia non esiste la democrazia Culturale” l’apparizione di schermi e immagini nelle scuole va gestita con estrema cautela per evitare di ‘ammuffire’ il cinema: da scartare è l’approccio storicista, da dimenticare quello amatoriale del professore che si improvvisa esperto di cinema in quanto appassionato. Serve una soluzione seria, studiata nei minimi dettagli che consenta alla popolazione di entrare in contatto con immagini complesse senza soccombervi.

Viene avanzata un’ipotesi dal già citato Alain Bergala, il cui libro L’Ipotesi Cinema è stato ristampato nel 2023 dalla Cineteca di Bologna: esporre i bambini anche più piccoli ad una pedagogia libera dai dettami della scuola classica e dai dogmi del culto cinefilo più stantio, che incoraggi al confronto e all’incontro quasi occasionale. Bergala spiega come i primi contatti col cinema per molti siano stati gli spezzoni di film visti di nascosto, spiando i genitori e le loro ‘cose per grandi:’ l’inciampare sul film per caso è ciò che rende l’esperienza indimenticabile, ciò che insegna a rapportare il frammento alla totalità. È attraverso queste modalità che la pedagogia deve poi virare verso l’atto creativo, per evitare ‘la sterilizzazione’ di cui parlava invece Canova, incoraggiando i bambini ad immedesimarsi nell’atto creativo del regista, dello scenografo e degli attori; una visione partecipata è quella in cui i più piccoli giocano a indovinare come la sequenza si concluderà, o come la camera sarà posizionata al suo interno.

Purtroppo però, in Italia il problema non è isolato alla mancanza di una consona educazione da parte delle istituzioni: il popolo dei piccoli vive anche in un limbo commerciale la cui nicchia è spesso dimenticata da creativi e produttori. Il mercato italiano del cinema per l’infanzia è sempre stato estremamente scarno rispetto ad altre realtà europee e statunitensi, lasciando un buco produttivo che negli ultimi anni ha cominciato ad essere riempito da nuove leve nate sul web.

INTRATTENIMENTO PER L’INFANZIA IN ITALIA: IMPORTAZIONE E ANIMAZIONE D’AUTORE.

Storicamente in Italia i prodotti indirizzati all’infanzia sono stati per lo più affidati alle televisioni, nonostante l’esistenza d’iniziative come il “Giffoni Film Festival” di moderata rilevanza mediatica; come dimostrato da un rapporto dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo intitolato La Circolazione nei cinema dei film europei per bambini, l’Italia è stata ampiamente superata da industrie cinematografiche concorrenti dedite all’esportazione, come Francia, Germania e, primi fra tutti, Stati Uniti. Fra i paesi citati, è interessante come caso studio proprio la Francia, che della circolazione di film pensati per les enfants ne ha fatto una sua forza: “Big City – Dove i bambini fanno la legge” (2007) o “Il Piccolo Nicolas e i suoi genitori” (2009) sono film apprezzabili da un pubblico adulto, ma che non dimenticano mai di parlare una lingua adatta soprattutto ai più piccini. Opere simili, che sappiano amalgamare scrittura intelligente, competente messa in scena e apprezzabili qualità tecniche con storie e tematiche digeribili da un pubblico sotto i dieci anni, sono più uniche che rare in Italia; basta fare un giro nella sezione ‘per bambini’ della piattaforma di streaming “Rai Play” per rendersi conto delle malsane modalità di importazione che l’Italia ha nei confronti di questa tipologia di prodotti culturali: vi sono film tedeschi, olandesi, ovviamente francesi e nord americani ma giusto un paio produzioni nostrane.

Per motivi culturali, l’intrattenimento per queste fasce d’età è sempre stato associato al medium dell’animazione; partendo dal presupposto che animazione e programmi per bambini mandati in onda sulle reti pubbliche (e più recentemente private) abbiano avuto molto più impatto economico e rilevanza immaginifica delle loro controparti cinematografiche (basti pensare a fenomeni storici come il “Carosello” oppure più recenti come “L’Albero Azzurro”), per educare una giovanissima mente alla lettura d’immagini è fondamentale il confronto con il grande schermo e la sala cinematografica.

I grandi autori del passato Bruno Bozzetto, Emanuele Luzzati, Giulio Ganini e Pino Zac, infondevano i loro progetti di messaggi troppo sottili perché un pubblico di bimbi riuscisse a goderne appieno: si potrebbe riassumere la natura problematica di questi creativi affermando che ‘non avevano la magia Disney’, quella che riusciva a trattare tematiche serie semplificandone l’esposizione in modo da renderle digeribili morali di favolistica memoria. Va chiarito che con ogni probabilità Bozzetto e compagnia desiderassero elevare il medium oltre la semplice etichetta ‘da bambini’, non ponendosi il problema dell’andare incontro alle necessità del pubblico allargato delle famiglie.

La situazione cambia negli anni Ottanta e Novanta quando l’industria prova a rinascere guidata dalla Lanterna Magica (rilevata da Medusa), solo per inanellare una serie di cocenti fallimenti al box office (“Aida degli Alberi”- 2001, “Johan Padan e la Descoverta de le Americhe”- 2002) che decreteranno un nuovo letargo del fenomeno fino alla nostra contemporaneità: fra i nomi più in vista nel nuovo panorama troviamo sia creativi affini ai modelli del passato come Alessandro Rak, che dirige film paragonabili agli esperimenti animati dello statunitense Richard Linklater, sia Lorenzo Mattotti con il suo “La Famosa Invasione degli Orsi in Sicilia” (2019) che segue la lezione impartita da Enzo d’Alò, ma entrambi rimangono casi singoli e non sentori di un fenomeno diffuso. E proprio di d’Alò è opportuno parlare brevemente per confrontarsi con quello che forse è stato l’unico caso italiano in cui successo commerciale e valore artistico sono andati a braccetto nel mondo dell’animazione.

Va ovviamente citato l’impressionante successo (20 miliardi di lire) de “La Gabbianella e il Gatto” (1998), capolavoro con il quale la vena creativa degli animatori italiani sembrò riprendere vita negli anni Novanta. Il film è piacevole, scorre con facilità ed è abbastanza complesso da lasciare qualcosa allo spettatore anche più piccolo senza però confonderlo; è visivamente ordinato senza apparire blando ed ha una forte identità nazionale, centrando in pieno la soluzione al problema dell’infanzia che l’industria cinematografica non sembra saper risolvere. Tuttavia, d’Alò rimane un singolo spiraglio di luce in un mare d’incassi deludenti, produzioni interrotte e scarsa produttività, tutte problematiche a cui lui è stesso non è comunque mai riuscito del tutto a sfuggire nel corso della carriera.

L’ALTERNATIVA: DIASPORA VERSO IL WEB

Appurata la scarsezza dell’offerta culturale italiana in questo campo, viene dunque da chiedersi cosa occupi le giornate dei più piccoli; è con la Generazione Alpha -nati dopo il 2011- che le possibilità offerte da internet diventano allettanti: migliaia di sfavillanti colori, ipnotiche canzoncine e video interattivi infestano il sottobosco di ogni applicazione con una seria utenza, da YouTube a TikTok. A testimoniarlo, filastrocche con miliardi di visualizzazioni, recensioni di giocattoli nella sezione Tendenze e un enorme traffico di like e ricondivisioni. 

I fenomeni culturali che interessano il pubblico più giovane sul web sono giganteschi ed estremamente diffusi, ma ai fini di questa discussione verranno presi ad esempio due avvenimenti legati principalmente a YouTube (ma non impermeabili a contaminazioni su altre piattaforme): Elsagate e il Mascotte Horror. Il primo si riferisce alla scoperta nel 2017 di una fitta rete di video considerati dagli algoritmi ‘per bambini’ in realtà fondati su sketch di pessimo gusto, dalle dubbie intenzioni e d’infima qualità produttiva, che avrebbero fruttato al loro creatore migliaia di dollari in pubblicità. Il secondo caso vede interessati una serie di rudimentali videogiochi a tema horror con protagonisti inquietanti mostri dal grandissimo potenziale marketing, giocati o discussi in video: il caso più eclatante, dal quale è poi scaturito anche un omonimo film nel 2023, è Five Nights at Freddy’s, la cui grandissima fortuna si regge sulle spalle di semplici design e meschini jumpscares facilmente vendibili a bambini.

Ma se il web è la nuova gallina dalle uova d’oro dell’intrattenimento, i creatori e i brand che operano sulle piattaforme sentono ancora un certo complesso di inferiorità nei confronti dei media più ‘tradizionali:’ proprio come dimostrato dal caso Five Nights at Freddy’s, il cerchio si chiude con un ritorno al cinema, ancora considerato l’unico modo per nobilitare ciò che nasce su internet. Se questa tendenza è riscontrabile a livello internazionale, anche il nostro paese non è certamente immune ad i suoi effetti: la storia di content creator che hanno tentato il salto verso il grande schermo è vecchia almeno quanto i social stessi. Eppure soltanto di recente il panorama cinematografico italiano ha assistito all’avvento del primo reale sconvolgimento delle dinamiche di mercato provocato dal web: nel 2020, anno di chiusura delle sale, è iniziata l’ascesa de i Me contro Te con il loro primo film “Me contro Te: Il Film- la Vendetta del Signor. S”.

ME CONTRO TE: SUL WEB E IN SALA

Il duo Me contro Te nasce su YouTube nel 2014 come un normale canale di scherzi di coppia: Luì e Sofì giocano a challange divertenti, si prendono in giro e sfornano contenuti leggeri ma non ancora specificatamente pensati per un target infantile. La svolta arriva nel 2019, quando la coppia è selezionata da Disney Italia per condurre un format televisivo per giovani ragazzi intitolato Disney Challenge Show – Me contro Te andato in onda quello stesso anno su Disney Channel; la popolarità della coppia esplode e il contenuto dei loro canali social vira bruscamente verso il nuovo pubblico conquistato grazie a Disney: i video di coppia si trasformano in amatoriali sketch pensati per i piccolissimi sulla falsa riga di programmi come Lazy Town e Melevisione. Nel giro di un anno, il nome Me contro Te si trasforma definitivamente in brand, con centinaia di prodotti marchiati di conseguenza, da album di figurine, zaini, ombrelli ad ogni sorta di giocattolo. Fra i più redditizi sponsorizzati da Luì e Sofì compare anche lo slime, da sempre un juggernaut dell’intrattenimento per l’infanzia sul web.

Sarà proprio lo slime a dar vita al primo lungometraggio del duo, distribuito nientedimeno che da Warner Bros., uscito appunto nel 2020, costato 75.000 e fruttato ben 9.500.000 euro Me contro Te: Il Film – La Vendetta del Signor. S. Al centro della trama vi è proprio lo slime del Signor. S, venduto poi dalla coppia. Tralasciando la pochezza contenutistica e l’ambiguità dell’inserire così esplicitamente un prodotto commerciale in un film per piccini, non si può che rimanere stupiti dall’immenso successo che il duo è riuscito a riscontrare grazie alla fidelizzazione di una fetta demografica pronta a seguire i propri idoli dal web alla sala. E se questo esperimento ha funzionato, per testarne l’efficacia era necessario ripeterlo.

Già nel 2021 esce Me contro Te: Il Film – Il Mistero della Scuola Incantata, seguito immediatamente nel 2022 da Me contro Te: Il Film – Persi nel Tempo: entrambi riconfermano la formula vincente della coppia con incassi calanti rispetto al primo capitolo, ma da acquolina in bocca per il resto dei concorrenti cinematografici italiani. Sarà con i successivi sequel del 2023, Me contro Te: Il Film – Missione Giungla e Me contro Te: Il Film – Vacanze in Transilvania che i guadagni al botteghino si assesteranno sulla cifra dei 5 milioni a film. Quello che ormai è a tutti gli effetti un impero multimediale si espande su qualsiasi social, arriva al cinema e sbarca sulle piattaforme di streaming nel 2022 con la serie targata Prime Video Me contro Te: La Famiglia Reale, già rimpinguata di una nuova stagione. Ora, un paio di considerazioni.

L’esistenza del fenomeno Me contro Te non è causa, ma sintomo. Non sono Luì e Sofì i colpevoli della pochezza dell’offerta né i dispotici sovrani di un mercato che al di fuori di loro semplicemente non esisterebbe. Sono piuttosto il risultato di anni di trascuratezza ai quali il pubblico più piccolo è stato sottoposto, sono figli del sistema di importazione e scarsezza produttiva a cui l’Italia non si è mai sottratta. Ragionando da un punto di vista meramente monetario, la loro esistenza è un toccasana per il cinema nostrano, eppure viene da chiedersi quanto effettivamente edificante in senso pedagogico possa essere questa nuova realtà. Buona parte della critica specializzata ha scelto di elogiare i meriti del duo ignorandone le criticità contenutistiche, fomentando l’idea che i traguardi finanziari siano tutto: sono molto, ma non possono reggersi in piedi da soli, non possono formare l’immaginario di una nazione che ha disperatamente bisogno di nuovi simboli e mitologie. Quando il prodotto stesso si vende come -appunto- un prodotto contenente a sua volta altri prodotti impacchettati con le minime caratteristiche necessarie per qualificarsi a livello narrativo, siamo davanti a film infantili e colorati o a glorificate e sgargianti pubblicità di autopromozione? E soprattutto, se come educatori e genitori di nuove generazioni che ora più che mai hanno bisogno di essere indirizzate, ci arrendiamo a servire loro un pappa non solo pronta, ma già digerita, che non incentivi nessun tipo di lettura dell’immagine o di confronto, come possiamo pensare di porre fine alla piaga dell’analfabetismo iconico che attanaglia il nostro paese?

Il futuro riserverà forse alternative, forse imitazioni: si sta già assistendo allo sbarco nei cinema dei DinsiemE, altro duo nato sul web sulla coda dei Me contro Te, che hanno debuttato nelle sale durante il 2022 con Il Viaggio Leggendario, dai modestissimi incassi se paragonato ai loro più famosi concorrenti. Nella speranza che il mercato italiano riesca a generare una risposta a questa deriva, viene solo da augurarsi che i bambini tornino a guardare i film senza l’apporto di familiari volti conosciuti sul web, perché ora come ora, i bambini non ci guardano più.


di Olmo Giovannini
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