Intervista a Carlo Lizzani: tra cinema e storia

A dieci anni dalla scomparsa di Carlo Lizzani, pubblichiamo l'intervista di Tiziana M. Di Blasio al regista, risalente al 19 novembre 2011.

D. – La relazione fra Storia e Cinema è parte integrante della sua opera. Da dove nasce tale predisposizione?

R. – L’inclinazione a rappresentare fatti della vita reale, anche storici, nasce forse già da un primo imprinting familiare, nel senso che la memoria dei nonni garibaldini che avevano incontrato personalmente Mazzini e Garibaldi e che avevano partecipato all’epopea del Risorgimento, ma nonni che io non ho mai conosciuto, veniva evocata continuamente in famiglia. Forse questa mia inclinazione ad interessarmi della Storia nata sin dall’adolescenza e dagli studi liceali, l’ho trasferita poi nel mio cinema.

Il momento decisivo è stato probabilmente intorno ai 17 anni quando, alla fine della seconda liceo, venni rimandato a ottobre in italiano, pensi che vergogna per me, destinato poi a scrivere, credo a scrivere bene, forse però era quel particolare momento dell’adolescenza in cui gli anni giovanili portano al distacco dalla pratica scolastica.

Fu il consiglio della mia professoressa di allora a leggere la storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, consiglio che io seguii e che praticamente cambiò la mia vita.

Fui talmente affascinato da quel libro che mi accompagnò durante tutta l’estate per prepararmi all’esame di riparazione, e mi colpì, in particolare, il legame tra opera letteraria e background storico. Fu proprio quel testo a dare una svolta alla mia vita e a suscitare in me un interesse più profondo, più motivato proprio verso l’indagine storica e certamente verso l’epoca contemporanea ma anche a guardarmi indietro, appunto, e a collegarmi verso quelle memorie familiari e risorgimentali.

D. – Il documentario da lei realizzato dal titolo Il mio Novecento è il suo più recente lavoro di ricerca storica, un progetto di ampio respiro che si propone di raccontare le vicende storiche del secolo alla luce anche dei suoi film. Come si è articolato questo progetto?

R. – Il progetto nasce per una retrospettiva a me dedicata dal Festival di Pesaro del 2010. E ciò grazie alla collaborazione con Vito Zagarrio e con il gruppo di lavoro di Vittorio Giacci a Cinecittà che mi ha permesso di sfogliare, ripassare al monitor – una volta si sarebbe detto in moviola – le pagine cinematografiche di quanto ho realizzato all’arco di tanti anni, 60-70 anni di lavoro. Ho potuto così scegliere via via le sequenze più significative di tanti miei film e attraverso queste sequenze raccontare, senza la presunzione di essere considerato uno storico, ma per offrire sia agli storici che al pubblico, i momenti più esemplari per ricordare le tappe fondamentali di questo secolo. E quindi sequenze da Achtung! Banditi!; da Fontamara; da Il processo di Verona; da Mussolini ultimo atto; etc. montandole non nell’ordine in cui i film furono prodotti, ma nell’ordine cronologico in cui avvennero gli eventi narrati e diventare così brani di storia del Novecento. Ciò beninteso secondo una ricostruzione drammaturgica attuata con il sussidio di alcuni storici che mi hanno sempre affiancato mentre realizzavo i miei film, e testimonianze dirette o ricordi personali. E questo montaggio è diventato un documentario di tre ore, diviso in due tempi. Fanno parte di questa antologia anche brani di repertorio non miei, ma che provengono dagli archivi dell’Istituto LUCE, per rappresentare anche quei momenti che non sono riuscito a raccontare nei film, perché ovviamente non ho potuto raccontare con i miei film tutta la storia del Novecento. Quindi per alcuni brani, per alcuni momenti di questa Storia, sono ricorso a sequenze di repertorio che rimontate con l’aiuto dei miei collaboratori, sono comunque diventate mie, come ad esempio la marcia su Roma.

D. – Può spiegare come nasce questa originale impostazione cronologica?

R. – La suggestione di mettere in ordine, non cronologico, sequenze dei miei film per raccontare una storia mi è venuta da un colloquio che ebbi con Roberto Rossellini, il mio maestro. Con lui ho collaborato solo per un film: Germania anno zero, seguendolo come sceneggiatore e poi come aiuto regista, ma è stato talmente importante che è rimasto indimenticabile nella mia memoria. In una delle nostre chiacchierate mi parlò di un suo sogno, quello cioè che in una retrospettiva a lui dedicata i titoli dei film fossero elencati secondo una progressione storica degli accadimenti trattati a partire da La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza, passando da Socrate, via via, per arrivare fino ad Anno uno. Quindi una storia addirittura dell’umanità, insomma. Il suggerimento è venuto appunto da questa chiacchierata, così l’ho adottato per i miei film per raccontare il Novecento.

D. – Come è riuscito a conciliare la necessità di fedeltà storica con l’autonomia della creatività artistica?

R. – Certamente la creatività artistica può prendersi delle libertà rispetto all’evento storico realmente accaduto e di cui resta documentazione in testi scritti o in testimonianze reali, se si considera poi il Novecento, si tratta di vere riprese cinematografiche che appunto si ritrovano negli archivi.

Per esempio il conflitto tra Edda Ciano e il padre Benito Mussolini. Dopo la liberazione di Mussolini e la rinascita del fascismo appoggiato dai tedeschi con la costituzione della Repubblica Sociale nel settembre del 1943, furono processati coloro che erano stati considerati traditori, per aver votato l’ordine del giorno del 25 luglio relativo alla destituzione di Mussolini determinando così la caduta del governo. Il processo terminò nel gennaio 1944 con la loro condanna a morte. Tra i condannati anche Galeazzo Ciano, marito di Edda e genero di Mussolini. Il conflitto tra figlia e padre fu clamoroso e tragico e ne sono restate testimonianze, alcune scritte, alcune nei ricordi della stessa Edda. Tornando alla sua domanda, la scena vera e propria in cui Edda condanna il padre e rompe con lui, io l’ho ricostruita con grande libertà, con parole e frasi, drammaturgicamente riscritte insieme a Ugo Pirro, lo sceneggiatore del film. Abbiamo scelto di condensare in una scena unica anche se fatti e parole avvennero nell’arco di due, tre giorni di telefonate, ma drammaturgicamente le abbiamo raccolte in una sola, unica, lunga, grande telefonata, interpretata, credo, meravigliosamente – questo lo hanno apprezzato tutti i critici – da Silvana Mangano, forse un’attrice arrivata alla maturità più splendida proprio con Il processo di Verona. E questa telefonata, ripeto, certamente non fu così nella realtà, ma riassume, nell’arco di cinque o sei minuti, il conflitto tra figlia e padre che va al di là della cronaca e diventa leggenda, insomma, diventa affabulazione, diventa drammaturgia.

D. – Tra i temi storici da lei affrontati e narrati drammaturgicamente ve ne sono altri che per lei hanno avuto un rilievo particolare?

R. – Beh, uno dei momenti della storia del Novecento per me più rilevante è senz’altro quello della Shoah, che ritorna due volte nel mio cinema. La prima ne L’oro di Roma nel 1961 che rievoca la cattura degli ebrei a Roma, dopo l’armistizio e l’occupazione della capitale da parte dei nazisti nell’ottobre del ’43, e quindi l’irruzione dei tedeschi nel ghetto, e poi la seconda in Hotel Maina che ho realizzato invece più di recente, nel 2007, basato sul saggio storico di Marco Nozza che rievoca un’azione abominevole, condotta dai tedeschi, ancor prima dell’evento di Roma, subito dopo l’8 settembre, vicino al Lago Maggiore.

Si tratta in realtà del primo eccidio di ebrei dopo l’armistizio.

Vorrei sottolineare, a conferma di quanto prima si diceva, che cronologia produttiva e cronologia storica non coincidono. Nel caso specifico in una ipotetica retrospettiva dei miei film Hotel Meina dovrebbe essere presentato prima de L’oro di Roma, nonostante sia stato girato dopo oltre quarant’anni.

D.  – A proposito di ritorni, nel corso della sua carriera, lei è più volte è tornato su personaggi storici rappresentanti varie tipologie femminili…

R.- Tra i personaggi storici femminili della mia filmografia che ricordo, penso ad esempio a quello di Maria José – L’ultima regina Regina, interpretata da Barbora Bobulova, un personaggio che mi ha permesso di raccontare gli aspetti considerati da me deplorevoli della condotta di Casa Savoia e invece i momenti combattivi di questa giovane donna, diventata poi regina per pochi giorni. Dico sempre che se Casa Savoia avesse seguito i consigli di Maria José, di rompere non così tardi con Mussolini, forse avremmo ancora la monarchia in Italia!

Altre figure realmente esistite come la già citata Edda Ciano o Claretta Petacci in Mussolini ultimo atto.

Un altro personaggio femminile degno di nota è quello di Cattiva, perché in fondo con questo personaggio, interpretato così bene da Giuliana De Sio, si evoca la nascita della psicanalisi e la nascita del Novecento insieme. Esiste poi costantemente nel mio cinema una continuità e una trasversalità sociale di ruoli al femminile come le donne che appaiono in Fontamara, anche se di fantasia e figure della vita quotidiana come quelle di Cronache di poveri amanti, personaggi umili, come avrebbe detto Alessandro Manzoni, che però sono testimoni di momenti storici: il fascismo, l’antifascismo, la resistenza, insomma personaggi comprimari che aiutano a capire la storia del Novecento.


di Tiziana M. Di Blasio
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