Lo scherzo dei tempi

“Ho scherzato su tutto: questo posso dirlo con tranquilla coscienza, facendo un bilancio esattamente ventennale di quello che ho scritto (…) Ho scherzato sul Partito Comunista, sulla Chiesa Cattolica, sulla mafia, sugli scienziati, sul Risorgimento, sulla famiglia. Su tutte le cose su cui la maggioranza degli italiani di scherzare non se la sente. (…) Questa piccola riflessione- confessione mi è avvenuto di fare ieri, assistendo alla proiezione del Todo Modo di Petri. Due anni fa, col libro, io ho scherzato (dicendo, si capisce, cose tremendamente serie). Petri non scherza. E nemmeno Rosi ha scherzato cavando dal Contesto il film Cadaveri eccellenti. Perché? La domanda apre una quantità di risposte, di diversa natura. Alcune riguardano il momento che stiamo vivendo. Le lasciamo ai lettori, agli spettatori.”

Leonardo Sciascia, Questo non è un racconto

Citando e omaggiando Leonardo Sciascia alla fine de La stranezza, Roberto Andò richiama tutta una tradizione letteraria e filmica fortemente significativa nel nostro Paese, da un punto di vista sociale e politico che, nella memoria collettiva, sembra più un ricordo assopito.

Non si tratta certo di un film paragonabile agli adattamenti cinematografici sciasciani ma La stranezza riesce a trattare tematiche contemporanee sotto il velo dei tempi passati, nutrendosi di teatro quanto di letteratura e di intellighenzia quanto di popolo.

Sembrerebbe una vera e propria rottura con il presente, per tornare non ad una tradizione già vissuta, quella cinematografica fortemente politica degli anni ’70 ma, ripartendo dagli stessi “nonni”, Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, un riavvicinarsi alle origini con la macchina da presa di oggi. Uno sguardo digitale sul passato che ha creato il pensiero, l’arte del nostro Paese; e sono le penne degli scrittori e i pensatori siciliani che più hanno rivoluzionato la penisola.

Con lo spirito della commedia all’italiana, La stranezza abbraccia i misteri della creazione, i suoi tormenti, le sue allucinazioni lucide, non rinunciando ad uno sguardo politico. Pur non ispirandosi ad un suo romanzo, Roberto Andò esaudisce quel desiderio di Leonardo Sciascia: ci scherza un po’ su.

Il ritorno di Pirandello, interpretato da Toni Servillo, nella natìa Girgenti è segnato dalla morte della donna che lo ha visto crescere, la balia. I due comici Ficarra e Picone vestono i panni di due “cassamortari” che nel tempo libero sono drammaturgi dilettanti. Personaggi fortemente shakespeariani, amletici: gli affossatori clown.

Non riconoscono Pirandello; gli rimproverano una scarsa conoscenza del teatro. Sono

emblematici di una cultura popolare dell’oblio: un’Italia amnesica. Seppelliscono cadaveri che, per problemi di amministrazione, vengono spesso scambiati, o peggio, dimenticati in un

purgatorio di bare. Un’immagine forte che dipinge uno Stato che ha abbandonato i suoi cittadini.

“Il problema di questo paese è la memoria”, dice Benito Mussolini in Sono tornato.

La commedia satirica è un remake del film tedesco del 2015, Lui è tornato di David Wnendt. Il regista, Luca Miniero, utilizza un personaggio storico-politico per trattare tematiche di oggi, creando uno specchio tra il passato e il presente che deforma e ammonisce la realtà. È

interessante notare che nell’adattamento, nella traduzione, la terza persona singolare diventa prima persona sottintesa. L’espressione “Sono tornato” tradisce l’esistenza di una voce che non ha mai smesso di parlare: un punto di vista attivo. Mussolini è infatti l’unico personaggio ad essere consapevole di chi lui sia realmente; il popolo, ammirato, lo considera un grande attore,

come se si trattasse di un “giuoco delle parti”. Mussolini sembra proprio un personaggio in cerca d’autore, vagando per le edicole romane in cerca di risposte storiche. Il suo palco sarà la televisione, la conquista mediatica più politica del secolo. La realtà ci appare distante e incomprensibile, come nel teatro pirandelliano. A rendere più attuale ed allarmante questa

fantasia sono le immagini “reali” che portano avanti la narrazione. Come era successo in Lui è tornato, le riprese in esterno sono state realizzate senza utilizzare comparse, bensì sfocando i volti dei veri passanti che hanno cercato di approcciare la figura, chi alzando il braccio destro, chi alzando un pugno. Risulta cruciale nei discorsi che pronuncia, la questione del voto.

L’importanza del voto, ciò che effettivamente distingue la dittatura dalla democrazia, viene spiegata nel film più sorprendente dell’anno. C’è ancora domani, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, rientra in questo filone: una commedia che si nutre di storia e politica nostrane, che gioca con il passato per mettere in luce delle questioni irrisolte, che continuano a essere preoccupazione del presente e del futuro.

C’è ancora domani torna in quella Roma del secondo dopoguerra; una Roma che conosciamo bene grazie al cinema. Durante la visione vengono infatti in mente tante pellicole ma indicare con precisione titoli e riferimenti diventa più complicato, tanto è rivoluzionario il film in questione.

Roma ore 11 di Giuseppe De Santis sembra esserne la controparte; nelle prime scene vediamo una ragazza tirarsi su la gonna per sistemarsi le calze, suscita subito scalpore e commenti dai bambini e gli uomini che le passano accanto. In C’è ancora domani, seguiamo Delia mentre corre per la città, passando da un lavoretto a un altro per guadagnare poche lire. Le calze rotte che in Roma ore 11 venivano inquadrate sulle gambe di una giovane ragazza diventano le calze rotte che Delia rammenda per arrotondare i risparmi. Cortellesi mette in atto una rivisitazione storica dove ci viene mostrato il controcampo di decenni di cinema.

Delia è un personaggio storico importante quanto Pirandello, importante quanto Mussolini, solo che ha vissuto in silenzio, nascosta dentro casa. Il coro di donne che nel film di De Santis restavano vittime di un incidente sul lavoro, si raccoglie nella storia di una moglie, una madre in C’è ancora domani.

Alberto Crespi ha recentemente parlato di una tendenza che si sta manifestando nel cinema italiano, una messa in scena dell’ucronia, del “Cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente?”. Crespi cita l’ultimo film di Costanzo, Finalmente l’alba, così come Comandante di De Angelis, gli ultimi film di Amelio, Hammamet e Il signore delle formiche. Attribuisce

l’inizio di questa tradizione a Marco Bellocchio e al suo Buongiorno Notte; un processo che continua anche nel più recente Esterno notte.

Per certi aspetti, La stranezza, Sono tornato e C’è ancora domani possono rientrare in questo discorso portato avanti da Crespi. Ci sembra, però, che questi tre film si scostino dagli altri per una ragione in particolare: l’umorismo.

In tutti e tre i film vive un doppio registro: una polifonia che unisce l’alto al basso. Se La stranezza si nutre del teatro quanto della letteratura, quanto della comicità più apparentemente “spontanea” di Ficarra e Picone, Sono tornato unisce i discorsi storici pronunciati da Mussolini al linguaggio televisivo di Frank Matano e Cattelan. Il reale si confonde alla finzione, in un

montaggio che unisce le performance degli attori alle immagini dell’Istituto Luce; così come confondiamo gli interpreti con i veri passanti nelle strade della capitale. C’è ancora domani fa

uso di un altro metodo, altrettanto avvincente. Le scenografie e i costumi richiamano costantemente la tradizione cinematografica che conosciamo meglio, quella del Neorealismo. Cortellesi sceglie però di staccarsi completamente dalla realtà nelle scene che mostrano il problema contemporaneo più urgente, più devastante. La violenza sulle donne non viene messa in scena. Viene in mente l’incontro di boxe in Luci della città dove Charlie Chaplin, al posto di lottare, cerca di schivare le botte con un simpatico balletto. Il doppio registro in C’è ancora domani si realizza attraverso le citazioni cinematografiche, che creano una composizione postmoderna senza rinunciare alla componente dell’umorismo, portando avanti un messaggio politico che è critico quanto i discorsi di Mussolini passati in televisione nel 2018.

Aleggia un bisogno di tornare ad una visione politica, impegnata. Bisogno che non viene espresso in modo manifesto ma tra le righe, tra le risate. L’esigenza di tornare alla tradizione, proprio per potersi distanziare da essa, squarciando la quarta parete o squarciando la tela, posizionando il passato e il presente sullo stesso piano, creando così una continuità che permetta una coscienza storica.


di Valentina Vignoli
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