Maestro

Le recensioni di Maestro, di Bradley Cooper, a cura di Francesco Crispino e Joana Fresu de Azevedo.

La recensione
di Francesco Crispino

C’è ancora la musica al centro del secondo lungometraggio diretto da Bradley Cooper che, dopo l’apprezzabile esordio (A star is Born), si concentra sulla biografia di Leonard “Lenny” Bernstein, ritagliando ancora una volta per sé il ruolo del protagonista.

Gli esiti appaiono però meno felici rispetto all’opera del 2018. Innanzitutto per uno script (co-firmato dallo stesso Cooper insieme a Josh Singer, già sceneggiatore per Spielberg e Chazelle) che sceglie la forma più convenzionale per un biopic, focalizzandosi sul rapporto tra il geniale compositore e la moglie Felicia Montealegre (Carey Mulligan) e utilizzando la sua bisessualità come strumento di conflitto all’interno di un melodramma incorniciato in una narrazione classica. In secondo luogo per l’idea di regia che la sostiene e che vi si adegua pedissequamente, laddove viene dato rilievo alla prossimità emozionale (con un cospicuo utilizzo di piani ravvicinati) mentre la problematizzazione è spesso relegata ai margini. Tanto che il ricorso alla pellicola, alla proteiforme varietà dei formati (si va dal 4:3 al 16:9, dal bianco e nero per la rappresentazione degli anni ’40 alle immagini ipersature dell’epilogo negli anni ’80) e le pur apprezzabili interpretazioni dei due protagonisti — più incisiva quella di Mulligan rispetto a quella, talvolta compiaciuta, di Cooper —, sembrano in parte perdere il loro potenziale in un racconto che sembra scegliere sempre la via più facile ed esteticamente potabile.

Tutto ciò non deve tuttavia far apparire che Maestro sia caratterizzato da un’affabulazione equivoca, o addirittura disonesta, ovvero non è in discussione la sincerità della messinscena. All’opera seconda di Cooper probabilmente manca la giusta distanza dalla materia del racconto, laddove si ha spesso la sensazione che l’organizzazione della narrazione sia determinata più dall’algoritmo (Netflix è coproduttore insieme a Spielberg e Scorsese) che da una stratificata idea di regia.

La recensione
di Joana Fresu de Azevedo

Un amore profondo, giudicato socialmente folle, sicuramente non convenzionale. Questo il racconto al centro di Maestro, produzione che porta le firme di Martin Scorsese, Steven Spielberg e Bradley Cooper. Quest’ultimo ne è anche il regista, interprete protagonista e co-sceneggiatore, insieme a Josh Singer. Dopo essere stato presentato in concorso a Venezia80, il film dal 20 dicembre è visibile su Netflix.

Parlando di questa sua seconda regia, Bradley Cooper ha affermato:

Quando ero piccolo in casa ascoltavamo spesso l’opera e la musica classica. Ho passato molte ore a condurre un’orchestra immaginaria con le capacità limitate di un bambino di otto anni. In particolare, ascoltavamo spesso un disco di Leonard Bernstein. Perciò la fiaccola che mi avrebbe mostrato la via per realizzare Maestro era già accesa molti anni prima che mi capitasse il progetto tra le mani. Dopo aver completato un anno di ricerche su Lenny e sulla famiglia, e aver digerito tutte le informazioni, ho capito che l’aspetto più interessante e toccante per me era il matrimonio tra Lenny e Felicia. Era un amore non convenzionale e
sincero, che trovavo estremamente intrigante. Ed era questa la storia che ho voluto raccontare. Sarò per sempre riconoscente a Jamie, Nina e Alex (i figli del Maestro, NdR) per avermi aperto le porte della loro famiglia e dei loro cuori. È stata una delle più grandi gioie della mia carriera.

Il film, andando al di là del mero biopic, è un tributo agli alti e bassi della vita intima di una giovane coppia di grandi artisti. La due volte candidata agli Oscar Carey Mulligan, interpreta l’acclamata attrice, artista e attivista Felicia Montealegre Cohn. Dall’altra parte, a vestire i panni del nove volte candidato agli Oscar nel ruolo del leggendario musicista, direttore d’orchestra, compositore, insegnante e autore Leonard Bernstein troviamo Bradley Cooper stesso.

Bradley Cooper ha raccontato di aver impiegato un’ora e mezza per leggere il copione presentatogli da Spielberg. E di aver accettato subito di interpretare il compositore. Questo forte legame emotivo e l’ammirazione provata dal regista nei confronti del compositore sono tutti riscontrabili dalla cura, attenzione e rispetto che il regista mette nella direzione ed interpretazione di Maestro.

La scelta stilistica di rappresentare tutto ciò che è ricordo, di come sia nato l’amore con Felicia per poi passare al colore per raccontare le difficoltà vissute negli anni del loro matrimonio, ha lo scopo di trasmettere, anche visivamente, la duplice doppia vita che Bernstein ha sempre vissuto. Da una parte, l’essenza più pubblica, quella del direttore d’orchestra, e la necessità di una serietà e senso di responsabilità nei confronti di collaboratori e pubblico è assimilabile alla sua vita matrimoniale con Felicia. Una donna profondamente amata. Una compagna che lo ha sempre sostenuto in tutti i suoi successi, gestendo ed organizzando ogni aspetto della sua vita per permettergli di concentrarsi al massimo sulla sua musica. Dall’altra, la vita creativa e intima, quella del compositore come dell’uomo che non riesce a rinunciare a quella parte intrinsecamente sincera di sé, che lo porta ad aver bisogno della gioia di una compagnia maschile. Le due cose non vengono vissute in contrasto o con vergogna. Quella provata da Cooper/Bernstein è più il senso di colpa di essere consapevole di dare un dolore alla moglie. Ma che tormenta lui quando cerca di rimanere nel perimetro del suo matrimonio.

Non c’è in Cooper l’intento di giudicare l’uomo. Quanto piuttosto, di analizzare le complesse dinamiche dietro ad una famiglia atipia. Dice, infatti:

Era una parte davvero fondamentale per capire come costruire una storia d’amore tra di loro in modo onesto. Volevo che al centro del film ci fossero loro due, così da mostrare la sua verità sul matrimonio senza
allontanare i riflettori dalla coppia. Si potrebbe dedicare un film intero solo a esplorare la fluidità sessuale di Lenny, ma sarebbe un film diverso. Io volevo fare un film su loro due, perché penso che questa fosse la base di tutto. Come poteva essere vivere come loro in quel periodo storico? E com’era vivere in una struttura familiare eterosessuale, pur sapendo queste verità l’uno sull’altra?

Oltre alle incredibili interpretazioni di Mulligan e Cooper, terza protagonista assoluta di Maestro è la musica. La colonna sonora è interamente composta da brani suonati o comunque diretti da Bernstein, ampliando lo sguardo e l’udito dello spettatore anche a pezzi meno noti. Alcuni brani della colonna sonora di Fronte del porto fanno da sfondo e accompagnamento a tutto il percorso della relazione tra i due. Mentre, ad esempio la sua epica Messa o il tour de force in cui Bernstein dirige la sinfonia di Mahler n. 2, “Risurrezione”, ritraggono il Maestro immerso nell’ispirazione creativa e come e quanto dirigere fosse per lui uno dei pochi modi in cui poteva essere pienamente sé stesso.


di Francesco Crispino e Joana Fresu de Azevedo
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