Amore è Cinema: Before Sunset di Richard Linklater
Valentina Testa firma un approfondimento su Before Sunset, di Richard Linklater.
«In a sense, Before Sunset is a movie about how we create selves just by talking. But it’s also, as Jesse suggests at one point, about how we become prisoners of time. […] The years have had their way with them. But suggests Linklater – much like love – the movies have a way of defeating time.»
(Manohla Dargis, After nine years, did their hearts grow fonder?)
Considerato uno dei maggiori autori contemporanei, Richard Linklater è prevalentemente conosciuto dal grande pubblico per aver diretto School of Rock (2003) e dagli appassionati per aver dato vita alla Before Trilogy, il trittico composto da Before Sunrise (Prima dell’alba, 1995), Before Sunset (Prima del tramonto, 2004) e Before Midnight (Prima di mezzanotte, 2013). La sua ricerca artistica, quella che gli concede la possibilità di appropriarsi del termine “autore”, si è sviluppata nel tempo sul tempo, analizzandolo come dimensione dell’esistenza attraverso l’esistenza stessa. Famosa per le sue lunghe scene verbose, la Before Trilogy, portata in scena con dei giovanissimi – e poi sempre meno giovani – Ethan Hawke e Julie Delpy, è forse la massima summa del percorso linklateriano alla scoperta dell’animo umano. Delle tre pellicole, Before Sunset è forse quella più emblematica per come tratta i concetti di costruzione, amore, tempo e cinema.
Per la rivista «Sight & Sound», il videomaker e poi regista kogonada crea un video-essay dal titolo Linklater // On Cinema and Time, pubblicato con un breve testo di accompagnamento in cui scrive: «If cinema is also the art of time passing, then Linklater is proving to be one of its most actively engaged and thoughtful directors. Unlike other filmmakers often identified as auteurs, Linklater’s distinction is not found on the surface of his films, in a visual style or signature shot, but rather in their DNA, as an ongoing conversation with cinema, which is to say, a conversation about time passing». Il tema della sua ricerca è, come da titolo, il Tempo nei film di Richard Linklater, che è un fattore chiave sia all’interno delle singole opere sia in una visione d’insieme del suo lavoro. La tesi che dimostra kogonada è che la riflessione sul Tempo si giustappone a un insieme ancora più ampio della filmografia di Linklater, che è la filmografia tout court, una tradizione filmica che, guardata nel suo insieme, è essa stessa testimone dello scorrere del tempo.
In Linklater // On Cinema and Time si sente il regista parlare di percezione, ci sono i suoi personaggi che parlano di ricordi, passato, futuro, sogni, cose è il presente, cosa vuol dire esserci in questo momento, quanto la presenza umana sia immanente e permanente o quanto, al contrario, sia solo un dettaglio di cui dovremmo rimettere in prospettiva l’importanza. «Like sunlight, sunset, we appear, we disappear», dice Natalia in Before Midnight.«We are so important to some, but we are just passing through».
Questa analisi interna dell’operato di Linklater e della sua poetica è avvicinata a film che hanno fatto la storia del cinema. «What comes to mind most immediately are the five films of François Truffaut that track the ongoing life of Antoine Doinel over the course of 20 years. The changing face and body of Jean-Pierre Léaud as Antoine are a significant part of this narrative experience. We are not only witnessing the story of an abandoned boy struggling to become an adult, but time itself», scrive ancora kogonada. Truffaut, e poi De Sica, Kiarostami, Ozu, Welles, Godard, Lang, Hitchcock, Bergman, Fellini, Allen e Dreyer – kogonada monta insieme brevi e tra loro simili momenti di film indimenticabili per ricrearne la percezione d’insieme, come se fossero tutti espressioni della stessa cosa. Tutte, inevitabilmente, legate dal filo del tempo che scorre.
Ed è qui che si pone il gioco della triangolazione del titolo che unisce Linklater-Cinema-Tempo. L’oggetto-film è l’apoteosi della riproducibilità tecnica che riesce a fissare gli istanti nel loro divenire. Il tempo passa, ma il film resta uguale a se stesso. I film cambiano, ma da soli restano identici a loro stessi. Gli attori crescono, ingrassano, dimagriscono, invecchiano di film in film – ma restano sempre loro. «Can you believe it was nine years ago that we were walking around in Vienna?» «Nine years—no, that’s impossibile» «I know, feels like two months ago to me but it was summer ‘94» «Do I look any different?» dicono Jesse e Céline in Before Sunset, e kogonada monta sul dialogo del 2003 i loro volti del 1994, scolpiti dal tempo che è passato eppure sempre, nei dettagli, uguali a loro stessi.
Cos’è, quindi, il tempo? Una variabile dell’esistenza? Una variabile del cinema? È modellabile? Se è modellabile, è reale? Il cinema calato nel tempo, e cioè messo in relazione con se stesso, che cosa ci racconta? Potrà mai andare di pari passo col tempo? Linklater, dice kogonada, su queste domande riflette in maniera fondante, tanto che poi il suo essere autore non sta nell’avere un certo stile formale, nell’avere il signature shot come quello tarantiniano dal basso, quanto nel contenuto profondo dei suoi film, quel DNA che, insegna la scienza, è il codice genetico che determina l’esteriorità dei singoli fenotipi. Quindi, di nuovo in termini estetici, il contenuto che si esprime necessariamente attraverso la forma. La domanda finale, ai fini di questa ricerca, diventa quindi: c’è tutto questo in Before Sunset?
Girato in 15 giorni a Parigi esclusivamente durante la golden hour per la durata minimal di 80’, in cui, manco fosse un thriller, tempo della storia e tempo del racconto coincidono, Before Sunset di Richard Linklater esce nel 2004, nove anni dopo l’acclamato Before Sunrise. Il primo film, del 1995, raccontava la storia della francese Céline e dell’americano Jesse (Julie Delpy e Ethan Hawke): i due si conoscono su un treno, chiacchierano, arrivano a Vienna e lui deve scendere, mentre lei deve proseguire verso Parigi. Ma Jesse, in un momento di follia, chiede a Céline di scendere anche lei, passare la notte insieme a Vienna e rientrare verso Parigi il giorno dopo. «Think of this as time travel»: pensati da grande, da vecchia, pensati ripensare alla tua giovinezza, questo è un rimpianto che puoi non avere. Lei accetta, i due continuano a chiacchierare per la città, il romanticismo si spreca, la mattina dopo al binario si salutano e si promettono di rivedersi dopo sei mesi. Il finale è l’alba, l’inizio del giorno successivo: poi, que serà, serà. I personaggi avevano delle vite prima del breve lasso di tempo in cui li abbiamo visti agire nel film, e avrebbero avute delle vite ben oltre lo scorrere dei titoli di coda – vite che non ci sarebbero interessate.
Eppure, dato proprio il finale aperto, la domanda sorgeva in ogni caso spontanea. Si rivedranno? Non si rivedranno?[1] Linklater, Delpy e Hawke non hanno mai dato per certo la possibilità di tornare a esplorare le vite di Céline e Jesse; però hanno successivamente rivelato (come nel documentario Richard Linklater: Dream is Destiny di Louis Black, 2016) che ci pensavano, ci speravano. Delpy, ad esempio, soleva rispondere: «Having this ending with them leaving each other felt like something was missing in our lives, in a weird way, some place missing inside of us». Quando è arrivata la possibilità di lavorare a un sequel, non hanno esitato un secondo prima di dire sì, Céline e Jesse hanno altro da dire e noi vogliamo assolutamente farglielo dire.
Nel 2004 arriva quindi Before Sunset, scritto a sei mani da Linklater, Delpy e Hawke e pregno di una partecipazione emotiva senza precedenti in altri lavori dei due attori – riversatasi anche nel loro approccio alla performance che è una vera e propria masterclass di recitazione, come non poche recensioni hanno fatto notare[2]. David T. Johnson offre una rapida panoramica di quella che è stata la ricezione anglofona immediatamente a seguito dell’uscita, nel luglio del 2004: «Philadelphia Inquirer» titola Romantics Win: Sunset Follows Sunrise, « Montreal’s Gazette» ammicca con Be Seduced by a Sunny Afternoon in Paris, «London’s Sunday Telegraph» sceglie Love That Goes with the Flow, «Bath Chronicle» spinge verso A Love Story to Send You into Swoons of Giddy Delight e «Toronto Star» ripiega su Minds That Make Out[3]. La critica è stata uniforme nell’acclamare il successo dell’indie già presentato alla Berlinale dello stesso anno, applaudendo scommessa riuscita del sequel. Su «Sight & Sound» si scriveva che Before Sunset è «the kind of pure cinema the likes of Eric Rohmer and Jacques Rivette have constantly striven for, and which Delpy, Hawke and Linklater and his team have achieved to a fine degree».
La menzione di Rivette è particolarmente degna di attenzione: evoca infatti alla mente la Lettera su Rossellini a firma del critico e regista, in cui si difende Viaggio in Italia (1954) solo sul piano della messa in scena[4]. Escluso che nove anni dopo la recensione su «Sight & Sound» Linklater citerà proprio Viaggio in Italia in Before Midnight – Rivette e la difesa della messa in scena sono importanti per definire un discorso che si spiega lungo le linee di Spazio e Tempo. La politica degli autori dei «Cahiers du Cinéma» definisce nel concetto di messa in scena una delle tracce chiave per identificare lo stile di un autore nel film. La messa in scena si definisce come la costruzione formale dell’immagine, quel fenotipo del DNA di cui si diceva all’inizio. Jacques Rivette la articola come una «registrazione di corpi in relazione tra loro in uno spazio»[5], e per lui è tanto centrale che sul valore morale della messa in scena basa tutta la sua famosa invettiva contro Kapò di Pontecorvo[6].
La messa in scena di Before Sunset come registrazione di corpi in relazione tra loro in uno spazio è fondamentale per identificare il tema dello Spazio. Céline e Jesse, che in Before Sunrise sono ubriachi dell’infatuazione impossibile e sognatrice del tempo fuori dal tempo che stanno trascorrendo insieme, in Before Sunset stentano a sfiorarsi. Scrive Suzanne Scott che il «film itself is formally constructed to haunt, touches never quite reaching their intended target for fear of realization that the other is nothing more than spectral memory, its final frames prematurely fading into obscurity, the voice of deceased chanteuse Nina Simone still wafting off the screen. Before Sunset lingers […]». E infatti Céline e Jesse si salutano all’inizio ma poi camminano vicini senza mai toccarsi, i gesti di chiusura dello spazio che li separa cadono nel vuoto – come la mano di Céline che si muove per accarezzare la nuca di Jesse, e che non arriva mai a destinazione. Sono solo due i momenti in cui si toccano davvero: il primo nel parco, mentre scherzano sul sesso e Jesse afferra Céline per sederla in braccio a lui su una panchina. Breve, imbarazzante, fuori luogo. Ridacchiano, lui si scusa, lei si scansa, tutto torna come prima. Il secondo nel cortile della casa di Céline, quando devono salutarsi di nuovo scesi dalla macchina. Lei lo avvisa, «I want to try something», si avvicina e lo abbraccia: «I want to see if you stay together or if you dissolve into molecules». Jesse, scioccato, non sa che dire, non sa che fare. «How am I doing?», dice, incredulo. «Still here». «Good, I like being here». Questa volta non c’è più niente da ridere. Lei lo lascia andare, sorridono, sanno che niente può tornare come prima perché “prima” non esiste.
Questo abbraccio finale è l’affermazione netta e chiara della presenza del soggetto nello Spazio, che si definisce nel rapporto con l’altro nel momento in cui la presenza è riconosciuta e sottolineata. Scrive infatti Celestino Deleyto sull’uso dello Spazio nei film di Linklater: «Given the conceit of two characters walking and talking under the intense scrutiny of the camera, the space around and beyond them could have receded into invisibility and irrelevance, yet Linklater often suggests otherwise. Most apparent are the two montage sequences, at the end of Before Sunrise and the beginning of Before Sunset, of the places visited by the characters, once they have become separated in the first film, and before they get together again in the second. […] this is a direct warning to spectators not to ignore the centrality of space in the trilogy, a warning that is spelled out in Before Sunrise when Céline describes the painting by Georges Seurat “La voie ferrée” as a world in which the environment is stronger than the people, humans appearing to dissolve into space in his paintings»[7]. Lo Spazio è quindi un backdrop cruciale che sembra sparire, ma che in realtà incombe sull’immanenza dei protagonisti. Di nuovo Natalia: siamo così importanti per alcuni, ma in realtà siamo solo di passaggio.
Si parla di cinema come di settima arte perché è considerato l’arte che sta a metà tra quelle dello Spazio e quelle del Tempo. Nel manifesto del 1921 di Ricciotto Canudo, si prevedeva che la cinematografia avrebbe unito in sintesi l’estensione dello Spazio e la dimensione del Tempo: sarà l’arte che unirà le due componenti, che le fisserà per sempre in maniera immutabile. In Before Sunset, dove diegeticamente la messa in scena come relazione di corpi nello Spazio è fondamentale per la costruzione narrativa della vicenda, extra-diegeticamente la messa in scena come costruzione formale dell’immagine è ancora più fondamentale per restituire l’urgenza e l’intimità del racconto.
Non poche penne hanno sottolineato la notevole regia che si nasconde per raggiungere una massima illusione di spontaneità. La complessità era tutta nelle stringenti esigenze di produzione: «Not only did we have just 15 days to shoot, but on any given day, we only had four hours,» racconta Linklater. «It was important that the Steadicam moves not draw attention to themselves or to the performances. The point was to not draw attention to anything». Lo evidenzia Roger Erbert: «“Before Sunset” is a remarkable achievement in several ways, most obviously in its technical skill. It is not easy to shoot a take that is six or seven minutes long, not easy for actors to walk through a real city while dealing with dialogue that has been scripted but must sound natural and spontaneous. Yet we accept, almost at once, that this conversation is really happening. There’s no sense of contrivance or technical difficulty».
I movimenti di macchina sono definiti «long, lyrical» da Andrew Sarris, che prosegue: «Along the way, Mr. Linklater performs prodigies of invention with the time and space coordinates of the mise en scène. His is the subtlest form of filmmaking, which is to say it’s made to look and sound effortlessly minimal. Yet it is also marvelously fragile–as if at any moment the sheer improbability of the situation is going to blow up in our faces with a disillusioning blast of common sense».
Pure nel poco spazio (!) a disposizione, brevissima recensione di Glenn Kenny sul magazine «Premiere» non manca di menzionare che «Linklater has his camera almost literally just walk and sit with them as an increasingly intense conversation unfolds», e anche Stephanie Zacharek nota che «As Celine and Jesse wander and talk, the camera lingers on their faces for seven or eight minutes at a time, as if it can’t bear to tear itself away from their conversation, or, more specifically, from their presence itself».
L’immagine si lega alla narrazione raggiungendo un equilibrio quasi miracoloso in cui ogni scelta formale serve ad amplificare la posizione dei personaggi – l’uno rispetto all’altro, entrambi rispetto agli spazi che attraversano, entrambi rispetto al tempo che scorre inesorabile. La loro presenza è il cuore pulsante del film, eppure devono muoversi lungo una strada che ha una distanza ben definita, e quindi il loro dialogo deve durare esattamente da X a Y. La macchina li segue con raccordi precisissimi che non buttano neanche un secondo, niente si taglia perché sta tutto succedendo in quel momento e quindi è importante anche Jesse che decide quanto lasciare di mancia. Come scrive Chris Fujiwara, «The intelligence of the film is in its mise-en-scène: the articulation of looks, the shot choices, the cutting. […] To say this is not merely to state the obvious but to identify the main will of the film: to show the two not only talking but watching and listening to each other, reacting, anticipating, hesitating as they decide how much to disclose and how to do it. Linklater’s style enhances the nuances of the dialogue while making it clear that more is going on in and between these two than what’s being said».
«Before Sunset is construction», scrive Rob Stone[8]. Portando questa affermazione su un piano metacinematografico, è chiaro come l’accuratissimo lavoro di regia metta in scena, nel senso più letterale del termine, una autoconsapevolezza di massimo grado sul lavoro che il film fa sul film stesso – e cioè, sulla riflessione che la storia, resa metafora per via della sua tecnica, fa sul cinema.
Già in un’intervista per L.A. Weekly pubblicata in occasione dell’uscita di Before Sunset, Linklater ribadiva che «Julie and Ethan and I had talked about a sequel a lot over the years, […] but it’s scary, the thought of going back in there. When we watched the first film again, all of us together, we were like, ‘Wow, we could not only screw up this film [Before Sunset], but if we really fuck it up, we’re fucking up that film». La Storia, si dice, si fa e si capisce a fatti conclusi, e la narratività si scrive retroattivamente. Lo dicono anche Céline e Jesse mentre passeggiano per le rue parigine: forse un ricordo non è mai concluso finché non moriamo. Before Sunset potrebbe quindi cambiare l’intera prospettiva che si ha su Before Sunrise, così come l’ancora successivo (sempre di nove anni) Before Midnight, ultimo quadro della trilogia, può fare lo stesso sui suoi predecessori. E infatti, nonostante il film apra sulla volontà di sapere come è andato a finire Before Sunrise e sul grado di autobiografismo della letteratura (siamo al firmacopie per il libro This Time (!) di Jesse, scritto sulla famigerata notte viennese e anch’esso con finale aperto), e la posizione inequivocabilmente enunciata è che scoprire la realtà «would take the piss out of the whole thing», il film poi si costruisce proprio su questa domanda. Cosa è successo nei sei mesi dopo Vienna, cosa succede ora, nove anni dopo a Parigi, cosa sarebbe potuto succedere nel mezzo.
Questa consapevolezza della costruzione e, in un certo grado, della performance (scrive J. Oberman: «with stars Hawke and Delpy working on the script, it’s boldly self-reflexive. […] the extraordinary thing is not just the quality of their conversation but the way Linklater stages it—a series of long, flashback-punctuated tracking shots in which the camera simultaneously draws the couple through the streets of Paris and back into their respective pasts […]. Their dialogue—on the nature of coincidence and memory, getting older and being in the moment, intimations of mortality and the possibility of personal change—is both the subject of the movie and a commentary on it. For now, these stars personify the passage of time […]»; e ancora, Chris Wisniewski: «for most of the film, the characters are performing for each other—he, to win her over with his honesty and affection, she to demonstrate the extent to which she doesn’t need that affection, without betraying how much she still cares») lavorano di concerto per diventare, come si diceva, espressione rappresentativa della concezione stessa di Cinema di Linklater.
Nel saggio Time Regained per la Criterion Collection, Dennis Lim analizza i film della trilogia con uno sguardo d’insieme per indagare come la questione del Tempo si evolva nel giro dei vent’anni in cui si snoda la storia di Jesse e Céline: «The shifting meaning of a moment—as it is anticipated and then experienced, as it is remembered or misremembered, as it gains or loses luster in a year, a decade, or more—is the existential question that animates the story of Jesse and Céline». Su Before Sunset, nello specifico, continua così: «in cinema and in life, time has a way of folding in on itself. […] More than most filmmakers, Linklater takes quite literally Andrei Tarkovsky’s concept of cinema as sculpting in time; he has even likened the Before films to a sculpture, with time as the force that shapes it». La settima arte, abbiamo detto, è l’unione di Spazio e Tempo, che Linklater usa come strumenti per lavorare la percezione della realtà – dove percezione è parola chiave in quanto sia Spazio sia Tempo diventano, nelle mani del regista, delle variabili in continuo mutamento. Il tempo scorre davvero? «Time is a lie,» dice Jesse, «It’s all happening at the same time», e il suo sguardo si poggia – dopo nove anni – sul volto un po’ invecchiato di Céline. A. O. Scott in questa battuta trova esattamente la chiave di scatto autoriflessivo di Before Sunset, che «unfolding with deceptive languor in real time, at once supports this idea [che il tempo è una menzogna] and undermines it». È falso, nella testa di Jesse i due momenti esistono contemporaneamente. Ma è anche vero, perché Céline, lì davanti a lui, è cambiata, lui è cambiato, il Tempo è passato.
Il Tempo, sostiene Marjorie Baumgarten, «is neither the enemy nor a friend, it is instead the X-factor in their lives, the stream through which they travel. Linklater teases, tricks, and revels in time’s resoluteness and its contours as he films Celine and Jesse with long, absorbing camera takes that provide the illusion of events happening in real time while always keeping us cognizant of its passing».
Il Tempo è una bugia perché nella nostra testa, dove viviamo di ricordi e di aspettative, dove si ripiega su se stesso: lo fa nella vita e lo fa nel cinema, ed ecco che si torna a kogonada, a Linklater come punto d’unione tra il Cinema e il Tempo, variabile chiave dell’esistenza. Se è vero che un regista fa il regista perché quello che ha da dire non sa dirlo con la musica, con la pittura, con le parole, ma sa dirlo solo con le immagini in movimento (citando Linklater: «I had a visual thing, I could see films in my head, and cinema is really my calling»), ecco che Linklater veramente è autore principe della settima arte perché usa il cinema come mezzo per mostrare il processo di riflessione su questioni essenziali e genetiche dell’esistenza, che diventano essenziali e genetiche anche del cinema.
Before Sunset, per arrivare a concludere, non è uno di quei film che si possono definire “il Cinema”, ma è sicuramente una massima riflessione su cosa è il Cinema: la storia che scorre come unione di Spazio e Tempo. Però il Cinema è anche finto: lo Spazio non è cambiato dai personaggi che lo hanno attraversato, Vienna resta uguale la mattina dopo Before Sunrise (fatti salvi due bicchieri abbandonati nel parco) e Parigi è identica a come la vediamo prima dell’incontro di Before Sunset. Lo spazio non cambia e il tempo, abbiamo detto, non è reale, non del tutto, e allora il Cinema è finto, ma non per questo meno vero: «Our time together is our own creation», aveva detto Céline a Vienna. Ma allora, se anche la realtà è plasmata a piacere, dov’è il vero inganno? Scrive Rob Stone che «Confusing the real and the unreal in this manner can also be a deliberate ploy aimed at questioning the nature of being and the world. […] Within the field of metaphysical inquiry, the key question for characters in Linklater’s cinema appears to be whether the world exists outside the mind»[9].
«Real time,» continua Lim, riprendendo tutti i fili del discorso che abbiamo delineato e intrecciandoli insieme, «gives [Before Sunset] its formal rigor and dramatic urgency. With hardly a minute to waste, Jesse and Celine are no longer pausing to take in the sights or to engage with bystanders […]. Taking in a single sustained conversation—intricately plotted and mapped, and captured with a discreetly fluid Steadicam in the walk-and-talk scenes—Before Sunset illustrates better than any other Linklater film his gift for creating the illusion of spontaneity. Memory is the very substance of this film. The characters are constantly reliving, perhaps rewriting, their previous meeting, and as Before Sunset replays the past, it also gives it a new context. The future regret that Jesse playfully warned Celine about when they met has become their very real present. Vienna haunts them both, so much so that Jesse turned it into fiction and Celine, we later learn, into a song».
In Before Sunset la vita è seme autobiografico da sublimare dentro una storia, che a sua volta, in questo caso, è veicolo esorcizzatore di rimorso e frustrazione. La riflessione è diegetica e extradiegetica, interna al racconto e sviluppata nelle modalità di creazione del Tempo e dello Spazio del film. L’inganno della fiction, il trucco dell’immaginazione diventa uno strumento per leggere la realtà: Before Sunset è film sul cinema che a sua volta dice che Cinema è la vita fatta film. È la vita – mai completamente immanente – resa fissa attraverso uno strumento che lavora esclusivamente per giochi di prestigio. È la realtà che si fa fantasia, ed è la fantasia che trasforma la percezione della realtà.
Lim prosegue e conclude la sua analisi della trilogia dedicando parole incredibili anche a Before Midnight, le cui estreme conseguenze portano alla chiusura di questa analisi:«While it’s a truism to say that love fades, Before Midnight has a more complicated view, consistent with the other movies, that love is an ongoing negotiation between fantasy and reality».
L’amore è una negoziazione continua tra la fantasia e la realtà. E se Cinema è la vita fatta film, si può riesumare Aristotele per fare un semplice sillogismo che porta a casa una conclusione tanto banale quanto rivoluzionaria: Cinema è la negoziazione tra la vita – la realtà – e la costruzione di finzione – l’immaginazione. E se questa negoziazione è, come sostiene Lim, il nocciolo dell’amore – ed è anche Cinema – allora per Linklater Cinema è amore e amore è Cinema.
[1] Dennis Lim scrive: «The open ending of Before Sunrise existed for years as a Rorschach test, separating romantics from cynics and fueling countless post-movie discussions about the fate of Jesse and Celine, who came to attain the status of characters with a life outside their fiction». Il punto non sta tanto nella storia, quanto nell’effetto della storia. Nel fatto, ad esempio, che persino Robin Wood nel suo testo del 1998 Sexual Politics and Narrative Film: Hollywood and Beyond (Columbia University Press, New York 1998, pp. 322-324) dedichi un capitolo intero al lavoro che il film fa sulla rappresentazione dell’amore e insista per diversi paragrafi su che cosa sarebbe potuto succedere ai due protagonisti dopo che lo schermo è diventato nero – «an uncharacteristic bit of speculation in a scholarly piece». Tra parentesi – Wood ci azzecca. E la cosa ancora più assurda è che, in tempi ancora non sospetti, Linklater risponde al suo saggio con una lettera scrivendo che «neither he nor the two actors ever doubted that the date would be kept, and they have even met to discuss the possibility of a sequel, “Six Months Later…” But “Never trust the artist(s)—trust the tale”!» E infatti.
[2] Segnalo, oltre ai commenti sulla recitazione che si troveranno nelle recensioni citate in seguito: https://www.salon.com/2004/07/02/before_sunset/, https://chicagoreader.com/film/spur-of-the-moment/, https://www.theguardian.com/theobserver/2004/jul/25/features.review37, http://reverseshot.org/symposiums/entry/13/4_sunset.
[3] D. T. Johnson, Richard Linklater, University of Illinois Press, Champaign 2012, p. 82.
[4] C. Bisoni, La critica cinematografica. Un’introduzione, Archetipolibri, Bologna 2013, p. 21.
[5] Ivi, p. 20.
[6] J. Rivette, Dell’abiezione in R. Turigliatto (a cura di), Nouvelle Vague, Torino: Festival Internazionale Cinema Giovani, 1985, come citato in C. Bisoni, La critica cinematografica. Un’introduzione, cit., p. 22.
[7] C. Deleyto, Stories So Far: Romantic Comedy and/as Space in Before Midnight, in K. Wilkins, T. Vermeulen, ReFocus: The Films of Richard Linklater, Edinburgh University Press, Edinburgh 2023, p. 141.
[8] R. Stone, The Cinema of Richard Linklater: Walk, Don’t Run, Wallflower Press, New York 2018, p. 134.
[9] R. Stone, The Cinema of Richard Linklater: Walk, Don’t Run, cit., p. 144.
di Valentina Testa