La parte del Leone: Leopardi da Visconti a Bellocchio

A cura di Anton Giulio Mancino.

La mania degli anniversari non è sempre infeconda di coincidenze interne. Riposizionare indietro le lancette di sessant’anni in questo caso non è un esercizio vintage. Perché da solo il 1965 si tira dietro il 1943, nel senso che I pugni in tasca di Marco Bellocchio e Ossessione di Luchino Visconti ventidue anni prima restano, entrambi film d’esordio, i capisaldi dell’intera storia del cinema italiano. Ma proprio nel 1965 i rispettivi destini di Visconti e Bellocchio non si incrociano sulla Laguna. Piuttosto i percorsi si sdoppiano e ricongiungono, a distanza geografica e festivaliera di sicurezza, uno a Locarno, l’altro a Venezia, attraverso il nume di Giacomo Leopardi, all’insegna comune delle Ricordanze leopardiane.

Uno stile rivelato, una forza, una visione del mondo dirompenti, inconfondibili sin dalle opere prime rende i due, pur così diversi e incompatibili, esemplari assoluti del “nuovo” che avanza. Dunque, due film, due antesignani, un solo anno di grazia: il 1965. La parola d’ordine era con Ossessione e I pugni in tasca svecchiare, solo che nel 1965 Visconti rappresenta una forza del passato/presente da risarcire con un tardivo riconoscimento e Bellocchio il presente/futuro da tenere sotto osservazione.

«Certo – ricorda Bellocchio – fu una coincidenza. Ci furono tante coincidenze. Poi se uno poi uno volesse interpretare, ma anche interpretare l’Italia: Chiarini che esclude I pugni in tasca per lasciare via libera a Vaghe stelle dell’Orsa, che certamente non è tra i più belli di Visconti, proprio però più per riconoscergli e attribuirgli quel Leone d’oro che gli era sempre sfuggito, per ragioni politiche, da Le notti bianche, a Senso e anche a Rocco e i suoi fratelli. Luigi Chiarini voleva dire che siccome Visconti lo meritava oltremodo, non voleva che I pugni in tasca fosse in concorso o nella Mostra ufficiale. Questa cosa allora si ritorse contro il film di Visconti. Ricordo quella proiezione di I pugni in tasca in una sala che non esiste più, affollatissima, in cui probabilmente tanti critici si chiesero perché questo è stato escluso e quell’altro». 

Comunque sia, il risultato è che i loro due film contemporanei di allora si incontrano e scontrano idealmente su un terreno neutro; ciascuno a suo modo, adoperando separatamente stralci del medesimo canto di Giacomo Leopardi. Non gli stessi. I versi scelti da Visconti e recitati in Vaghe stelle dell’Orsa supportano l’illusione di poter trovare riparo in uno spazio retrospettivo, quelli de I pugni in tasca all’opposto consentono al protagonista di sfogare il malessere nei confronti del proprio «natio borgo selvaggio».

Certo è che nell’uno come nell’altro film funesto è il caso, o il destino, che un fratello e una sorella probabilmente incestuosi soccombano l’uno per mancato soccorso dell’altra.


di Anton Giulio Mancino
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