Karate Kid: Legends
La recensione di Karate Kid: Legends, di Rob Leiber, a cura di Roberto Baldassarre.

Stando alle istruzioni cinefile, Karate Kid: Legends (2025) di Rob Leiber è il sesto capitolo del franchise inaugurato da Per vincere domani – The Karate Kid (The Karate Kid, 1984) di John G. Avildsen e con Ralph Macchio e Pat Morita. Nel corso di questi quarant’anni sono stati prodotti due seguiti (1986-1989) aventi gli stessi protagonisti; un seguito/reboot al femminile, ovvero Karate Kid 4 (The Next Karate Kid, 1994) di Christopher Cain e con una giovane e sconosciuta Hilary Swank; il reboot “woke” The Karate Kid (2010) di Harald Zwart e con Jaden Smith; il fortunato serial Cobra Kai (2018-2025), che fa da ponte tra i primi tre – originali – episodi e quest’ultima produzione. Sesto tassello che è certamente un seguito, ma al contempo diviene un reboot con il quale si tenta di rilanciare storia e personaggi al cinema dopo l’ottimo riscontro avuto con la serie.
Effetto nostalgia – degli indimenticabili anni ’80 – con l’aggiunta di tematiche e ritmi narrativi odierni. Quindi questo Karate Kids: Legends va paragonato al recente franchise sugli acchiappafantasmi. Infatti, come già accaduto con Ghostbusters: Legacy (Ghostbusters: Afterlife, 2021) di Jason Reitman, si tenta di riproporre il cult/brand creando una connessione tra il vecchio, in questo caso rappresentato dalla presenza di Ralph Macchio, e il nuovo (sebbene sia in pratica un copia/incolla del plot originale): un ragazzo cinese, con una buona base di Kung Fu si trasferisce – controvoglia – con la madre a New York, dove s’innamora di una ragazza americana carina che, però, era fidanzata con un ragazzo (abilissimo nel Kung Fu) che mal sopporta questa sua nuova relazione.
Su questa linea narrativa da Teen Movie, si recupera anche il tema morale che permeava i primi tre capitoli: l’etica nell’utilizzo del Kung Fu e la disciplina nell’allenamento. Morto Pat Morita (1932-2005), mitico Miyagi, il ruolo di virtuoso Maestro è ricoperto da Daniel LaRusso, come già accadeva nel serial Cobra Kai, ma affiancato da Jackie Chan, già co-protagonista del fallimentare rilancio del franchise con Jaden Smith. Lontani i fasti ginnici in cui si esibiva in pericolosi e snodati stunt, nel film è comunque protagonista di un numero di kung fu coreografico e ridanciano. Una partecipazione, come ben evidenziano i duetti tra Chan e Macchio, che fa quasi pensare a un crossover tra la visione disciplinata di Miyagi e il buffonesco kung fu ideato dal cinema di Sammo Hung e Chan.
Il problema di Karate Kid: Legends, però, è soltanto quello di essere una ripetizione di quanto già raccontato nell’originale. Reiterazione che in ogni modo si ravvisava già nei seguiti dell’originale, poiché il perno della vicenda è sempre stato quello dello scontro tra il giovane buono e quello corrotto da un cattivo insegnante. Di realmente nuovo c’è soltanto il subplot che riguarda il protagonista: prender parte al torneo non è soltanto per vincere, ma atto di rivalsa nei confronti del fratello rimasto ucciso, di cui si sente colpevole.

di Roberto Baldassarre