Luci e (tante) ombre del cinema italiano

Pubblichiamo l'editoriale di Franco Monitini, Presidente del SNCCI e direttore responsabile di CineCritica (versione cartacea).

Il 2015 sarà un anno ricco di soddisfazioni per il cinema italiano.  Sono infatti annunciati in arrivo i nuovi film di un folto gruppo di registi prestigiosi, ovvero i nostri rappresentanti più noti a livello internazionale: Paolo Sorrentino con La giovinezza; Matteo Garrone con Tale of tales; Nanni Moretti con Mia madre; i Taviani con Meraviglioso Boccaccio; Giuseppe Tornatore con La corrispondenza; Marco Bellocchio con La prigione di Bobbio; Paolo Virzì con un nuovo progetto ancora senza titolo. Ma approderanno in sala anche Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto; La scelta di Michele Placido; Il nome del figlio di Francesca Archibugi; Latin lover di Cristina Comencini. Nel 2015, la presenza italiana al principale appuntamento internazionale, il Festival di Cannes, sembra destinata ad essere particolarmente ricca e agguerrita, poiché, presumibilmente, potrebbe allineare Moretti, Garrone e Sorrentino, tutti e tre abituali ospiti del festival e in predicato di partecipare anche alla prossima corsa per la Palma d’oro.

Insomma, dopo un 2014 nel complesso sostanzialmente deludente, prepariamoci ad un’invasione di titoli trionfalistici che, soprattutto se arriverà qualche non improbabile riconoscimento internazionale, celebreranno i nuovi fasti della cinematografia nazionale. Invece, parlando di cinema italiano, ci sono parole che bisognerebbe evitare accuratamente, anzi abolire del tutto: crisi, morte, rinascita, resurrezione. Perché da qualche lustro, l’andamento del nostro cinema è regolarmente caratterizzato da improvvise frenate e repentine accelerazioni, periodi di stasi e imprevedibili ripartenze. Insomma il panorama che si offre agli occhi dell’osservatore è quasi sempre in chiaro/scuro: ricco di elementi positivi e di antichi problemi irrisolti. Per essere sintetici, si può dire che il cinema italiano sia sempre uguale, perché sostanzialmente non cambia nulla. Da tempo la nostra cinematografia viaggia più o meno sullo stesso numero di biglietti venduti; si affida a ripetitive modalità produttive; punta su un ristretto numero di volti, sempre gli stessi. Le differenze in termini di prestigio e di premi dipendono da singole eccellenze, così come il risultato commerciale e le quote di mercato sono determinate dall’esito anche di un solo film, come accaduto nel 2013 con Checco Zalone. A proposito, nel 2015 tornerà in campo anche lui.

Quello che appare irrisolvibile è lo scioglimento dei nodi strutturali che bloccano e penalizzano lo sviluppo del settore. Senza pensare che nel 2015 si potrà mettere mano ad una legge di sistema, chimera che splende all’orizzonte da oltre trent’anni, ci sarebbero interventi urgenti da realizzare senza troppe difficoltà. Innanzi tutto una maggiore tempestività nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici: nel 2014 i contributi ai festival e alle rassegne nazionali e all’attività promozionale per l’estero sono stati deliberati a metà ottobre, ovvero quando la stragrande maggioranza delle iniziative erano già state realizzate. Un ritardo così grave impedisce di lavorare con serenità e di fatto rende impraticabile qualsiasi sostanziale mutamento nelle assegnazioni, perché, a cose fatte, non si possono certe decurtare in maniera sostanziosa attività che per anni sono state finanziate in un certo modo, né avrebbe senso premiarne altre che si sono già realizzate avendo fatto riferimento al budget dell’anno precedente. Tutto ciò impedisce alle manifestazioni meritevoli di crescere e tiene in vita iniziative che, al contrario, non ha più senso sostenere o comunque sostenere in un certo modo. Senza contare che, a causa del ritardo nelle assegnazioni, molti organizzatori sono costretti a ricorrere a prestiti, col risultato che parte delle risorse pubbliche destinate alla cultura vengono bruciate in operazioni finanziarie. Prima ancora di un auspicabile aumento del budget per festival e rassegne, sarebbe quanto mai opportuno che nel 2015 i contributi pubblici venissero decisi e assegnati entro il primo quadrimestre. Ed è appunto questa la pressante richiesta che, anche a nome di un’infinità di altre associazioni, inoltriamo al ministro Franceschini.

Un altro invito che rivolgiamo al titolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali riguarda la diatriba Mostra di Venezia/Festa-Festival di Roma. Si è appreso proprio in questi giorni, che il ministro Franceschini avrebbe risolto il contrasto fra le due più importanti kermesse cinematografiche nazionali assegnando a Venezia il compito di vetrina d’arte concentrata su un prestigioso concorso internazionale e a Roma il compito di puntare prevalentemente sul mercato, con l’abolizione della sezione concorso, quest’anno, con molta prosopopea populista, affidata al giudizio del pubblico, come se questa semplice trovata avesse miracolosamente mutato di un colpo il dna della manifestazione. Quasi a sottolineare ulteriormente la differenza fra i due festival, si è anche deciso che il sostegno alla Biennale Cinema sarà garantito dal Ministero della Cultura, mentre quello alla Festa di Roma, destinato espressamente alla sezione mercato, e ricco di un milione di euro, verrà elargito dal ministero per lo Sviluppo Economico, con l’ingresso del Luce nel cda della Fondazione Cinema di Roma, organismo che gestisce la manifestazione. Teoricamente il provvedimento dovrebbe favorire una maggiore differenziazione fra le manifestazioni, ma nei fatti rischia di penalizzarle entrambe. E’infatti ormai assodato che un festival senza mercato non funziona, così come non funziona un mercato senza un festival. Venezia sta subendo la sempre più pressante concorrenza di Toronto, proprio perché, al contrario della città canadese, non dispone di un adeguato mercato ed infatti, sia pure con colpevole ritardo, determinato anche dalla oggettiva mancanza di strutture, negli ultimi due anni qualche tentativo, per il momento dagli esiti modesti, si è comunque messo in campo. Nel caso di Roma pensare che il mercato possa svilupparsi all’interno di una manifestazione priva di elementi di prestigio e di richiamo è illusorio. La scelta di dedicare quest’anno gli eventi di apertura e di chiusura del Festival romano rispettivamente a Fabio De Luigi e a Ficarra & Picone, non significa realizzare una kermesse popolare, ma puntare ad una sagra modello strapaese, che non si capisce perché dovrebbe richiamare operatori economici internazionali. Nel caso di Roma, a nove anni dalla nascita, si tratta di mettere a punto un progetto di festival dotato di una propria precisa ed originale identità. Questo dovrebbe essere il compito prioritario della politica capitolina, che, successivamente, scelto un progetto e di conseguenza un direttore, avrebbe poi il dovere di fare un passo indietro, affidando ad un consiglio d’amministrazione realmente competente in materia di occuparsi del festival, evitando, al contrario di quanto accaduto in passato, inutili passerelle in occasione di presentazioni, conferenza stampa e quant’altro.

Ma i problemi del cinema italiano non dipendono esclusivamente dal cattivo comportamento degli enti pubblici; anche la parte privata dimostra scarsa lungimiranza. Nel mese di novembre il Sindacato Critici, attraverso l’apposita commissione, ha segnalato ben cinque film. Mentre da gennaio ad agosto ne erano stati segnalati complessivamente sette. Non è che i critici abbiamo improvvisamente cambiato il proprio metro di giudizio: semplicemente per un lungo periodo l’offerta in sala di cinema di qualità è stata particolarmente carente, mentre in novembre è stata eccessiva. Il problema per altro non riguarda solo la programmazione dei film d’autore; lo stesso fenomeno si è registrato nella distribuzione più commerciale. La commedia, genere principe della produzione nazionale, è scomparsa dal grande schermo già a maggio per riapparire solo a novembre. Ma in poco più di un mese sono stati distribuiti in sala una decina di titoli dello stesso tenore, destinati al medesimo target di spettatori. Risultato un eccesso di concorrenza, lo scatenarsi di un cannibalismo selvaggio con i film che non riescono ad ottenere l’esito che avrebbero potuto raggiungere se le uscite fossero state maggiormente scadenzate nel tempo. Sono considerazioni già svolte e proposte centinaia di volte, sulle quali tutti- autori, produttori, distributori, esercenti- concordano, ma poi in concreto non accade nulla. Questa è la realtà del cinema italiano: da una parte le nuove idee e i buoni proposti, dall’altra la mancanza di fatti concreti. Il cinema italiano appare sempre più omologo alla politica nazionale.

In foto:
Il nome del figlio, regia di Francesca Archibugi (2015)


di Franco Montini
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