Il sorpasso del Torino Film Festival

Pubblichiamo qui di seguito il report che Bruno Torri, membro della Giuria Fipresci al Torino Film Festival, ha inviato alla Federazione stessa per il suo sito.
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Con l’edizione 2012 il Torino Film Fest (TFF) ha festeggiato il suo trentesimo compleanno e, insieme, ha confermato tutte le sue caratteristiche migliori, quelle che gli hanno dato una precisa identità e un meritato prestigio, anche internazionale. Non solo: se da tempo il TFF era considerato, in ordine di importanza, il terzo festival cinematografico italiano dopo quelli di Venezia e Roma, con l’edizione di quest’anno, in conseguenza dell’esito deludente della manifestazione romana, ha migliorato la sua posizione passando al secondo posto, almeno sotto l’aspetto della qualità e dell’utilità culturale. E ciò nonostante che il Festival Internazionale del Film di Roma sia costato 12 milioni di euro, mentre il TFF ne aveva a disposizione solo 2. Pur con questo forte divario economico, la durata è stata identica (9 giorni), le sale di proiezione di Torino (11) erano più numerose di quelle di Roma (9) e i film proiettati sono stati molti (forse troppi) in entrambe le manifestazioni. Inoltre, a differenza di quanto accaduto a Roma dove il numero degli spettatori è sensibilmente diminuito e i giudizi della critica sono stati in maggioranza negativi, a Torino, invece, si è verificato un aumento degli spettatori di oltre il 17% e il consenso critico è stato pressoché unanime.
I punti di forza del TFF, validamente diretto per la quarta e ultima volta da Gianni Amelio, sono stati: un’ampia e qualificata offerta filmica ben differenziata nelle varie sezioni; il buon livello medio dei 16 film in concorso riservato alle opere prime e seconde; la retrospettiva, dedicata a Joseph Losey comprendente la presentazione di tutti i suoi film e la pubblicazione di un voluminoso e prezioso libro-catalogo curato da Emanuela Martini; il radicamento nella città e la conseguente – e “attiva” – partecipazione di un ampio pubblico, composto in netta prevalenza da giovani.
Tra i film in competizione, ne figuravano tre di nazionalità italiana che, pur risultando diversissimi nelle soluzioni espressive, evidenziano, tutti, una marcata tendenza all’originalità, alla marginalità e alla sperimentazione. Su Re di Giovanni Columbu è una specie di sacra rappresentazione che mette in scena la Passione di Cristo ambientandola nelle aride montagne della Sardegna e facendo recitare i personaggi dei quattro Vangeli in una stretta lingua sarda (tradotta nei sottotitoli). Più ancora che da un sentimento religioso, il film appare motivato dall’intenzione di restituire la materialità di luoghi, corpi e voci di una realtà atavica, fissata nel tempo. Gli altri due film italiani – Smettere di fumare fumando di Gipi e Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo – hanno in comune, e in primissimo piano, la dimensione autobiografica (in entrambi i film gli interpreti protagonisti sono gli stessi registi) e, infatti, si presentano come “docu-diari”; ma mentre il primo è tutto giocato sull’ironia, sul surreale e sul grottesco, il secondo si manifesta principalmente come una riflessione sui temi della malattia e dell’amicizia, affidando al cinema stesso, assieme alla funzione comunicativa, una finalità anche terapeutica.
Il premio Fipresci, che ha coinciso con quello della Giuria ufficiale assegnato al miglior film in concorso, è andato allo scozzese Shell dell’esordiente Scott Graham. Questa la motivazione: “Con molta sensibilità, con una calibrata strutturazione narrativa, con uno stile insieme essenziale e rigoroso, Scott Graham racconta una condizione umana e sociale segnata dalla solitudine, dal dolore e dall’inappagato bisogno di amore; rendendo così credibile – attraverso lo svolgimento della vicenda esistenziale della giovane protagonista – che all’isolamento e alla sofferenza si può cercare di sfuggire aprendosi a un altro futuro, seppure incerto e rischioso come è sempre la ricerca individuale della libertà”.
di Bruno Torri