Oh, Canada – I tradimenti
La recensione di Oh, Canada - I tradimenti, di Paul Schrader, a cura di Mariangela Di Natale.

Paul Schrader ritorna sul grande schermo con una raffinata analisi personale in modo spietatamente autocritico. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2024, Oh, Canada – I tradimenti ripercorre la confessione di un uomo stimato e in vista, un’icona dietro la macchina da presa, che deve confrontarsi con se stesso, tormentato dai sensi di colpa e dalle scelte fatte durante il suo vissuto. Tratto dall’omonimo romanzo Foregone dello scrittore statunitense Russell Banks, scomparso nel gennaio 2023, amico fraterno del regista, Oh, Canada – I tradimenti racconta la storia del famoso documentarista Leonard Fife (Richard Gere), un americano di sinistra che scappò da “codardo” rifugiandosi in Canada per evitare la chiamata alle armi nella guerra del Vietnam. Profondamente deluso da se stesso, ormai anziano e malato terminale, a tratti lucido e disorientato dai farmaci, Leonard accetta di rilasciare un’ultima intervista, con l’intento di rivelare i suoi segreti a lungo custoditi e smascherare la sua vita idealizzata. La sua scioccante confessione si svolge alla presenza della moglie Emma (Uma Thurman) e del suo devoto ex studente Malcolm MacLeod (Michael Imperioli).
Stare davanti all’obiettivo è un modo di guardarsi allo specchio, per smontare finalmente la sua notorietà rivelando al mondo i propri amori, tradimenti e rimorsi, senza remissione di peccati e bugie. È il testamento di un uomo, della sua vita, di verità e inganni, della responsabilità delle nostre azioni e il dovere di cercare la verità nel desiderio di redenzione. Un momento intimo, profondo, nostalgico (grazie anche alle musiche indie, struggenti e malinconiche di Matthew Houck, nome d’arte Phosphorescent), che lentamente si compone, fra ricordi frammentari, flashback (dal bianco e nero al colore), affidati a un immenso e superbo protagonista come Richard Gere, che torna a collaborare con Paul Schrader dopo più di quarant’anni da American Gigolò. L’esplorazione che il regista e sceneggiatore di Taxi Driver fa sulle azioni e memorie, costellate di immagini confusamente sovrapposte del suo passato, si trasforma in una raffinata indagine sulla possibilità di separare la vita e l’opera dall’artista, nel dire la verità attraverso la propria arte, lasciando la propria traccia a discapito della propria integrità e del proprio successo, non lasciando “nessuna illusione di speranza ed espiazione”.

di Mariangela Di Natale