No Other Land
La recensione di No Other Land, di Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal e Rachel Szor, a cura di Mariella Cruciani.

“Io e Basel (Adra, soggetto e co-regista del documentario) abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo uguali. Io sono sottoposto al diritto civile, Basel al diritto militare. Viviamo a trenta minuti di distanza ma io posso votare e Basel no. Io sono libero di andare dove voglio, Basel è rinchiuso nella Cisgiordania. Questa situazione di apartheid, questa disuguaglianza tra di noi, deve finire.”
Così il regista israeliano Yuval Abraham, in occasione del Premio per il miglior documentario al 74° Festival di Berlino, ha commentato quanto rappresentato in No other land.
Girato dal 2019 al 2023, il film mostra la lotta e la resistenza quotidiana degli abitanti di Masafer Yatta, in Cisgiordania, contro l’esercito israeliano: ogni giorno, le ruspe abbattono le povere case e, ogni giorno, i palestinesi ricostruiscono. Gli israeliani, però, non danno tregua e arrivano al punto di distruggere, senza pietà, la scuola o di cementificare un pozzo per far morire tutti di sete.
Nel villaggio vive anche Harun, divenuto tetraplegico in seguito agli spari nemici, perché si è rifiutato di lasciare la presa del generatore della famiglia. Sua madre, Shamia, si occupa di lui in una grotta, dove vivono, e non può portarlo in ospedale per le limitazioni di movimento imposte ai palestinesi.
Qui, infatti, gli uomini si dividono in due categorie: quelli che guidano auto con targhe gialle e quelli, invece, con targhe verdi. I primi decidono, arbitrariamente, della vita dei secondi.
Una didascalia finale sottolinea che il documentario è stato ultimato prima degli attacchi di Hamas del sette ottobre 2023 e informa che, da allora, le demolizioni si sono intensificate, costringendo molte famiglie a lasciare la terra natale.
Dalla visione di No other land si esce storditi e impotenti: al di là delle considerazioni politiche, lo scontro tra i due gruppi sembra evocare, anzi incarnare, l’antitesi tra due atteggiamenti psichici opposti, l’annullamento e la vitalità.
Gli israeliani agiscono come se gli altri fossero “cose”, in maniera totalmente anaffettiva, come chi ha conservato il rapporto con la realtà materiale ma ha perso del tutto quello con la realtà umana (assenza psichica).
I palestinesi, come dicono di se stessi nel film, sono “persone che si aggrappano alla vita”, dotati di sensibilità psichica e capaci di reazioni attive cioè di investire nella realtà. Il problema è anche la vitalità più ostinata, alla lunga, finisce per esaurirsi! Nel frattempo, gioverebbe – forse – l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale (i due protagonisti lamentano le poche visualizzazioni dei loro video) e gli israeliani dovrebbero ricordare che, anche essi, sono stati deboli, un tempo.

di Mariella Cruciani