Mufasa – Il re leone
La recensione di Mufasa - Il re leone, di Barry Jenkins, a cura di Francesco Di Brigida.
Per quanto riguarda la favola di Il re leone eravamo rimasti alla nuova versione del 2019, completamente in CGI (Computer Graphic Imaginery), un’operazione per rinverdire l’immaginario su Simba e il suo merchandising trasformando la classica animazione da disegno in un risultato dalla verosimiglianza fotografica quasi realistica. Se quel remake ipertecnologico riazionava un capitolo del mondo Disney, il nuovissimo Mufasa – Il re leone (da qui in avanti solo Mufasa) utilizzando quelle stesse tecniche, e semmai migliorandole, ci riporta nella savana ai tempi dell’infanzia del primo Re Leone per scoprirne le origini, la genesi del leader e i suoi compagni di viaggio.
Il velocissimo leoncino Mufasa si smarrisce tra i flutti di un fiume in piena che lo porterà lontanissimo da casa e genitori. Da qui la salvezza e l’incontro con una famiglia adottiva, dove il figlio, promesso re, diventerà suo fratello. Un viaggio, un percorso di crescita, l’incontro con i protagonisti del Re Leone che tutti conosciamo e la grande avventura di ritrovare una terra promessa si andranno inesorabilmente a riallacciare a ciò che ben conosciamo dal 1994. Il film Mufasa in maniera comprensibile davvero a tutte le età parla a più livelli di rapporti tra amicizia e tradimento, fedeltà e paura, autoritarismo e autorevolezza, famiglia e adozione, perdono e rancore, pace e conquista, carisma e delusione, libertà e oppressione.
Per raccontare questa storia su questi due fratelli adottivi, Mufasa e Taki, in fin dai conti una riedizione dei biblici Caino e Abele, accompagnata dall’insegnamento pigro del potere da parte del re leone adottivo, è stato scelto da Disney Barry Jenkins, un regista avvezzo alle storie di rinascita e lotta per i diritti. Il suo Oscar per la Sceneggiatura non originale per Moolight nel 2017 lo prova. Qui dirige soltanto, e il compito gli riesce agevolmente anche perché mescola le sue nuove immagini alle suggestioni iconiche dei primi capitoli. Sul piano tecnologico invece i suoi leoni sono iperrealistici, praticamente reali. È impressionante. Anche il labiale inglese è animato a perfezione.
La storia di fantasia regala al pubblico giovane e a quello adulto tutti i valori positivi portati dai film Disney. Ma ci mostra un mondo che sembra un grande documentario National Geographic di animali parlanti e senzienti. Quei tramonti animati disegnati dagli anni ’90 non ci sono più. Ora sembra tutto vero, dai leoncini ai fili d’erba, passando per l’acqua e ogni animale. Chissà questa iper-verosimilianza come lavorerà alla lunga sugli immaginari dei bambini di oggi. Chissà se alcuni tra i più piccoli di loro, quando allo zoo si troveranno di fronte a leoni ingabbiati, pretenderanno che parlino come i loro eroi visti al cinema.
di Francesco Di Brigida