La recensione di Mickey 17, di Bong Joon-ho, a cura di Francesco Parrino
La recensione di Mickey 17, di Bong Joon-ho, a cura di Francesco Parrino.

«Cosa si prova a morire?». Una domanda che si ripete costantemente, a più riprese, in momenti diversi. È un leitmotiv di Mickey 17 di Bong Joon-ho. Tutti vogliono sapere da Mickey cosa succede quando il suo corpo si spegne nell’oscurità della morte – una morte spesso dolorosa e violenta – per poi rivedere la luce nella rinascita in un nuovo involucro sintetico di carne. E nonostante tutto, nonostante l’abitudine a morire, Mickey una risposta a quella domanda non ce l’ha. Sa solo di avere paura. Ogni volta Mickey è sempre lui, Mickey Barnes, un uomo senza legami, senza storia e dal nome comune, che ha scelto di essere un sacrificabile. Si tratta del gradino più basso della scala sociale della società distopica della narrazione di Bong, dove un individuo dona il suo corpo alla ricerca al solo scopo di eseguire missioni ad altissimo rischio con cui poter raccogliere dati preziosi che garantiscano il progresso della civilizzazione. A ogni ristampa, però, Mickey perde sempre più la propria identità, le proprie radici.
Uno scarto, un senza cognome, che riparte per l’ennesima volta nei contorni di carne con una personalità sempre diversa, un’anima diversa, ma sempre con la stessa base mnemonica garantita dal backup dei propri ricordi più puri che gli viene impiantato nel cervello. Proprio per questo, vi diciamo, è un film sulla vita Mickey 17. Più precisamente sulla sacralità della vita e la sua ricerca identitaria, e su come gli uomini la sprechino perché avvinghiati in dinamiche malsane di giochi di potere, manipolazioni e sacrifici estremi (spesso non necessari) al solo scopo di raggiungere un’immortalità de facto: esistere, ma non vivere. Non a caso, fu proprio per quest’ultima ragione che Edward Ashton, l’autore del romanzo originale del 2022, Mickey7, iniziò a scriverlo. Quindi l’adattamento per immagini di Bong che da 7 a 17 amplia il raggio d’azione dell’opera letteraria, uccide Mickey più volte, ramificando il contesto narrativo intessuto da Ashton di riflessioni allegoriche su di un’umanità allo sbando che ha spinto al collasso la Terra tanto da rendere necessaria l’evacuazione (in questo affine a Interstellar) e infine stretta nella morsa di un regime totalitario mascherato da democrazia.
Per certi versi il perfetto prosieguo tematico di Snowpiercer nel raccontare di distopia e di spazi angusti fatti di speranza e voglia di vita, Mickey 17, sostenuto da un Ruffalo feroce e disturbante nei panni del trumpiano Hieronymous Marshall e da un doppio (e straordinario) Robert Pattinson dal talento mutevole e sempre più trasformista nella ricerca di una voce caratteriale distinta e ben definita nel dar vita ai suoi Mickey. Un film assolutamente da non perdere, Mickey 17, perché espressione sempre più variopinta ed efficace di un cinema, quello di Bong, che da Memorie di un assassino a Parasite, proprio non vuole smettere di stupire e meravigliarci con ogni mezzo necessario. Un’illusione cinematografica di cui abbiamo bisogno.

di Francesco Parrino