La recensione di Dreams, di Dag Johan Haugerud, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI

La recensione di Dreams, di Dag Johan Haugerud, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

Dreams, di Dag Johan Haugerud, distribuito da Wanted Cinema e in uscita in sala il 13 marzo 2025, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Il regista norvegese chiude, dopo Sex e Love, di prossima uscita, la sua trilogia sui temi del desiderio sessuale affrontando il rapporto che può nascere tra una studentessa e la sua insegnante. E lo racconta dal punto di vista delle due protagoniste ma anche da quello della mamma e della nonna della ragazza, perché la passione può avere tante letture e il cinema può aiutare a capirla e raccontarla. Un film sorprendente, dove la parola ritrova la sua centralità e il voyeurismo non ha diritto di cittadinanza».

La vittoria dell’Orso d’Oro al 74° Festival di Berlino ha consacrato Dreams (2025) di Dag Johan Haugerud come uno dei titoli più interessanti del panorama cinematografico recente. Questo riconoscimento non solo segna un trionfo personale per il regista norvegese, ma sancisce anche il suo coraggio nel trattare temi delicati come l’adolescenza, il desiderio e la sessualità attraverso una ricerca stilistica che non perde di sincerità. Il film, che si inserisce in un progetto più ampio, non è soltanto un racconto intimo sulla crescita, ma una riflessione sulle dinamiche narrative stesse. Al centro c’è Johanne (Ella Øverbye), una giovane diciassettenne che si ritrova a provare qualcosa di inaspettato nei confronti della sua insegnante di francese, Johanna (Selome Emnetu). Sebbene la vicenda appaia come una classica parabola “coming of age”, Dreams si distingue per la sua struttura articolata e la profondità psicologica, che lo spingono ben oltre le convenzioni del genere.

Il film, terzo capitolo di una trilogia tematica cominciata con Sex (2024) e conclusasi con Love (2024), non si limita a raccontare una storia di passione proibita, ma esplora l’atto stesso del narrare, mettendo in scena una riflessione sui meccanismi del cinema. Il diario segreto di Johanne diventa il punto focale attraverso il quale si sviluppa la sua consapevolezza di sé. Quel testo è anche uno strumento che fa emergere il conflitto tra la sua realtà e la percezione che gli altri hanno di essa. È proprio attraverso questa lente metanarrativa che Haugerud riesce a creare una frattura tra ciò che il film rappresenta e ciò che il pubblico è portato a credere. L’interazione tra le due donne, infatti, non è mai esplicitata ma rimane sospesa, senza che mai il film dia una risposta definitiva sulle sue implicazioni morali ed emotive. L’autore gioca con questa ambiguità, alternando momenti di realismo e di sogno, per confondere le linee tra desiderio e realtà, tra finzione e verità. Non si tratta solo di un film sulla crescita di una giovane, ma di una riflessione sullo stesso atto cinematografico, che sfida lo spettatore a interrogarsi sulla natura del desiderio e del racconto stesso.

La messa in scena si distingue per un approccio sobrio e preciso, capace di restituire la dimensione intima e psicologica senza mai forzare la mano. Le inquadrature sono studiate per mettere in risalto non solo le protagoniste, ma anche l’ambiente che le circonda. I paesaggi norvegesi, con la loro bellezza suggestiva e talvolta inquietante, diventano un riflesso dei conflitti interiori di Johanne, come un’estensione delle sue emozioni represse. La fotografia si concentra sui dettagli, sugli spazi chiusi, sugli sguardi tra i personaggi, creando una tensione visiva che amplifica la dimensione emotiva della storia. La scelta di non utilizzare una colonna sonora invasiva contribuisce ad accentuare il silenzio, creando un’atmosfera di sospensione e riflessione che accompagna ogni scena. La musica è delicata ma mai troppo esplicita, riuscendo a suggerire emozioni più che a definirle, ma è anche consapevole di essere strumento, come quando la ragazza si dirige verso la casa della docente in un quartiere sconosciuto, con un crescendo di suspense.

La performance della ventenne Ella Øverbye è uno degli aspetti più potenti della pellicola. Nel ruolo di Johanne, l’interprete è in grado di rappresentare con grande intensità e naturalezza la transizione dalla spensieratezza adolescenziale alla scoperta di una sessualità complessa e ancora incompleta. La sua prova è pervasa da una vulnerabilità palpabile, da una costante tensione che rende ogni sua mossa, così come ogni silenzio, carica di significato. Øverbye trasforma il suo personaggio da immatura adolescente a giovane donna alle prese con il desiderio, la confusione e la consapevolezza di sé. Accanto a lei, Emnetu è altrettanto convincente nel ruolo di Johanna, l’insegnante che diventa al tempo stesso oggetto di desiderio e simbolo di un mondo adulto ed enigmatico. La chimica tra le due attrici è sottile, quasi impercettibile, ed è proprio questa qualità a rendere la loro relazione intrigante. Il film non esplicita mai i confini di quella relazione, ma lo spettatore è invitato a interpretare ogni gesto, ogni sguardo, come parte di un gioco psicologico che va oltre la superficie. In questo senso, Dreams non solo racconta una storia, ma invita lo spettatore a riflettere sul proprio rapporto con la visione, con la finzione e con la realtà.


di Redazione
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