La recensione di La storia di Patrice e Michel, di Oliver Casas, a cura di Ignazio Senatore
La recensione di La storia di Patrice e Michel, di Oliver Casas, a cura di Ignazio Senatore.

Può un brano musicale racchiudere in sé il respiro di un film? Il regista Oliver Casas rende possibile questa magia, inserendo, verso la fine del film La storia di Patrice e Michel (titolo originale Frères) il magnetico brano Diamond and rust, scritto e cantato da Joan Baez. Il testo, come si evince dal titolo originale della canzone, parla di una profonda relazione (in quel caso amorosa) tra due persone, costellata da diamanti e ruggine. Un mélange, quindi, di gioia e dolori, di legami e separazioni, di lacerazioni e cicatrizzazioni.
Ed è proprio il legame simbiotico il fil rouge che i protagonisti della toccante vicenda. Ambientato nella Francia del 1948, i piccoli lega Patrice e Michel, trascurati dalla madre, sono dati in affidamento a una coppia che vive in campagna. Il padrone di casa s’impicca e Patrice, nel tentativo di salvarlo, taglia la corda che teneva l’uomo appeso al soffitto, provocandone la caduta al suolo. Si convince allora di aver causato la sua morte e, per non finire in prigione, si rifugia in una foresta assieme al fratellino. Nessuno li cerca e, i due, per sette anni, vivono allo stato brado, nutrendosi di bacche e animali. Passano gli anni e la madre, per evitare di essere denunciata, li rintraccia e decide che i due, ribelli alla disciplina scolastica, debbano vivere separati. Divenuti adulti, Patrice (Yvan Attal) è un noto architetto, sposato e padre di due adolescenti; Michel (Mathieu Kassovitz) è laureato in medicina. Un giorno sua moglie telefona a Patrice e gli comunica che Michel è partito per una regione sperduta e innevata del Canada. Patrice intuisce che il fratello è volato lì per lasciarsi morire e lo raggiunge. I due stanno insieme per qualche mese e un giorno, Michel, riparte all’improvviso per la Francia, senza comunicarlo al fratello. Il finale non può essere che tragico.
Uscito la scorsa primavera in Francia, La storia di Patrice e Michel è tratto da una storia vera. Nei titoli di coda, il regista ricorda come nella Francia del dopoguerra circa 1,4 milioni di bambini divennero orfani e centinaia di migliaia scomparvero, senza che nessuno si preoccupasse di loro.
Casas intreccia, (insistentemente?), la storia di Patrice e Michel bambini con loro adulti e regala allo spettatore una storia sofferta e poetica che mostra, però, dei buchi nella sceneggiatura e cela fin troppo misteri. Ammirevole il rapporto tra i due fratelli e, sin dalle prime battute, si intuisce che Michel è divorato da un malessere interiore che neppure l’amore del fratello riesce a sanare. Un film su come la mancanza di amore materno e l’assenza di appartenenza a un gruppo familiare possa scavare nell’animo umano fino a renderlo irrimediabilmente gelido e spoglio.

di Ignazio Senatore