Le mie poesie non cambieranno il mondo

La recensione di Le mie poesie non cambieranno il mondo, di Annalena Benini e Francesco Piccolo, a cura di Elisa Baldini.

Imbrigliare in una qualche forma la vita ed il pensiero di Patrizia Cavalli è un rischio non da poco che i due autori di Le mie poesie non cambieranno il mondo decidono di correre solo in parte. “Qual è la struttura, cosa avevate in mente?” Chiede a un certo punto “la poeta” agli amici scrittori Annalena Benini e Francesco Piccolo che hanno portato una telecamera nel suo appartamento e l’hanno costretta a preoccuparsi della forma asimmetrica delle sue sopracciglia, rese poco folte da una malattia che le cava di dosso l’energia indomita vissuta fino ad allora quasi come una possessione.

L’idea è quella di negare una struttura, lasciare scorrere il tempo passato insieme a lei come i versi di una sua poesia recitata con la poca memoria dei suoi ultimi giorni, con l’andamento deciso e malfermo delle sue rare, ultime passeggiate: un passo ed avanti e fermi, a litigare con il selciato di Roma ed i suoi sanpietrini maledetti. Roma, la città che le ha dato le persone e la vita che le appartenevano quando aveva la forza di assumere su di se tutto il dolore dei suoi amori mai corrisposti, della gelosia mai paga, della indolente pigrizia che le ha fatto dosare parole e poesie, gelosa, come è stata, anche di quelle.

Ad allargare il quadro, oltre alle verità soggettive che srotola con la lucidità di una Sibilla scontrosa, alcune immagini di archivio dei momenti in cui la poeta diventava anche performer e la sua cadenza suadente un canto liberatorio, dolente e dolce. Il film è infine, quasi miracolosamente, un’occasione intima in cui ci sembra di toccare per un’ora e un quarto le fibre più esposte e fragili di un essere umano sì speciale, ma che ci è anche straordinariamente vicino, nella sua “chiara confusione” di fronte al doversene andare via così.


di Elisa Baldini
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