La macchinazione

Quant’è difficile portare sullo schermo Pier Paolo Pasolini. E quanto è seducente, al tempo stesso. La vita e la morte di questo grande e ingombrante scrittore, regista e giornalista sembrano materia ideale per il cinema, dense come sono di tormento, scandalo, intelligenza, tragedia, mistero. Ma finora nessuno è stato capace di restituire allo spettatore la disperata vitalità di Pier Paolo, la sua lucidità nel guardare il mondo, la sua carica autodistruttiva. Sono diversi i film dedicati a PPP: Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, Nerolio di Aurelio Grimaldi, Pasolini di Abel Ferrara. David Grieco, che di Pasolini è stato amico e collaboratore (e che aveva rifiutato di partecipare alla lavorazione del film di Ferrara per divergenze con le scelte del regista americano), ha scelto con La macchinazione di rappresentare gli ultimi mesi della vita di Pasolini e di raccontare la sua morte in modo ben diverso dalla versione ufficiale.

Di complotto politico dietro l’omicidio di Pasolini si è cominciato a parlare subito dopo la tragica notte all’Idroscalo del 2 novembre 1975 e lo stesso Pino Pelosi, condannato come unico assassino del poeta e regista, ha fornito negli anni diverse e contrastanti resoconti dell’accaduto. Grieco racconta di un Pasolini scomodo per il potere, il Palazzo (termine inventato da lui stesso), di un autore vittima sacrificale di un’Italia mediocre, soffocata da intrighi criminali e meschinità piccoloborghese. Il risultato non è sempre all’altezza delle aspettative: il film presenta diversi spunti interessanti, ma il racconto procede con una certa difficoltà, alcune parti sono decisamente poco riuscite (in particolare quelle sulla malavita romana, che sembrano una brutta copia di Romanzo criminale) e un paio di scene sfiorano il ridicolo involontario. Basti pensare a Pasolini che “prevede” l’attuale invasione di giovani armati di smartphone: va bene che, si sa, “lui” aveva già anticipato tutto, ma non esageriamo. L’esiguità di mezzi usati per girare il film non giustifica del tutto l’impressione di “povertà” che scaturisce dall’insieme e lo stile sovente piatto e televisivo.

Il film di Grieco ha il suo punto di forza nell’eccellente interpretazione di Massimo Ranieri, che ha un volto molto somigliante a Pasolini ma non cerca di imitarlo, anzi fa sentire leggermente il suo accento napoletano. Scelta che non disturba affatto, giustamente Grieco ricorda che Pasolini ha reso napoletano il suo Decameron. Indovinate sono anche altre scelte di cast: la tenerissima mamma impersonata da Milena Vukotic, l’uomo dei misteri affidato a Roberto Citran. Nel ruolo di Antonio Pinna, misterioso uomo della malavita scomparso nel nulla poco dopo l’omicidio Pasolini, Libero De Rienzo è bravo come sempre ma non del tutto a suo agio, mentre diversi altri interpreti secondari appaiono inadeguati, non ben diretti.

LA TRAMA

1975. Pier Paolo Pasolini sta ultimando il film Salò e lavora al libro Petrolio. Per quest’opera, fra romanzo e saggio, cerca di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni su Eugenio Cefis, presidente della Montedison, da lui considerato uomo chiave dei principali misteri italiani. Ma attorno a lui si sta stringendo un cerchio mortale: criminalità, politica, servizi segreti, molte persone vogliono che Pasolini muoia. A prendersi la colpa dovrà essere Pino Pelosi, il ragazzo di vita che lo scrittore e regista frequenta da qualche tempo. Il 2 novembre, all’Idroscalo di Ostia, si compie l’atroce destino di un intellettuale scomodo.


di Anna Parodi
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