L’orchestra stonata
La recensione di L'orchestra stonata, di Emmanuel Courcol, a cura di Emanuele Di Nicola.
Ci sono almeno tre film dentro En Fanfare, forse perfino quattro. Il titolo di Emmanuel Courcol, presentato in Cannes Premiere e poi alla Festa del Cinema di Roma, arriva in sala il 5 dicembre mutando ne L’orchestra stonata. Il primo film è la storia di un uomo che scopre di avere la leucemia: il direttore d’orchestra Thibault (Benjamin Lavernhe), ricco e amato, che accusa un malore durante le prove. L’unico antidoto è una donazione di midollo: in mancanza di meglio, bussa alla porta di un fratello biologico che non sapeva di avere. È Jimmy (Pierre Lottin), un operaio modesto che lavora in provincia e suona il trombone nella fanfara locale. Ma L’orchestra stonata non è un leukemia movie, perché la situazione si risolve nell’arco dei primi venti minuti: l’operazione va in porto, Thibault si salva. Può continuare a dirigere l’orchestra nei teatri di gala con le signore impellicciate.
Il secondo film è una questione di lotta di classe, per interposti strumenti musicali, ossia attraverso un approccio alle note che riflette una visione del mondo. La bacchetta aristocratica di Thibault si contrappone alla tromba proletaria di Jimmy, servendo ai fratelli l’occasione di confrontarsi e conoscersi davvero. L’uno è riconoscente all’altro, per ovvi motivi, ma l’operaio azzarda una contropartita: appena sorge un problema chiede proprio a Thibault di dirigere la banda dei lavoratori. Può il superdivo abbassarsi alle tute blu? È qui che si allarga la forbice del conflitto, appunto di classe, racchiuso nell’opposizione tra l’orchestra e la fanfara, laddove la musica “alta” non sa incontrare quella “bassa” oltre il progressismo di facciata. L’imbarazzo di Thibault la dice lunga… E qui, con uno spericolato detour extracinematografico, si può vedere perfino la storica contrapposizione tra cinema d’autore e cinema di genere, anch’essi per decenni ritenuti alternativi, secondo schemi del passato che ormai sono preistoria.
Il terzo film è operaio. Quando la fabbrica volge alla chiusura, preda dell’ennesima crisi di oggi, la chiave può essere l’esposizione mediatica: una sonata proletaria diretta dal grande maestro per attirare l’attenzione e bloccare la dismissione. Del resto, i poveracci la buttano in musica dal tempo dei disoccupati di Full Monty…Il concerto di L’orchestra stonata è un gesto social che sostituisce gli scioperi del passato, una versione edulcorata e musicale dell’atto estremo del sindacalista di En guerre, che si dava fuoco. Alla fine di tutto, però, il racconto si morde la coda e torna all’inizio, ovvero alla malattia e soprattutto al rapporto tra due fratelli che non sapevano di esserci. I temi si depositano l’uno sull’altro, sono evidenti, vengono esposti, a tratti girano a dovere e a tratti sfociano nella didascalia più esplicita. Sarà un buon film di Natale, perché fa incontrare la solidità del medio cinema francese con i dubbi e tormenti del presente.
di Emanuele Di Nicola