L’arte della felicità, un altro film della SIC 2013 nelle sale cinematografiche

Due fratelli. Due continenti. Due vite. Una sola anima. Sotto un cielo plumbeo, tra i presagi apocalittici di una Napoli all’apice del suo degrado, Sergio, un tassista, riceve una notizia che lo sconvolge. Niente potrà più essere come prima. Ora Sergio si guarda allo specchio e quello che vede è un uomo di quarant’anni, che ha voltato le spalle alla musica e si è perso nel limbo della sua città. Mentre fuori imperversa la tempesta, il suo taxi comincia ad affollarsi di ricordi, di speranze, di rimpianti, di presenze. Prima o poi la pioggia smetterà di cadere ed il cielo si aprirà. E da lì verrà la fine. O tornerà la musica.

“Il vivere è soltanto percezione ed il morire solo un modo di cambiare” dichiara Alessandro Rak nelle note di regia di questo suo sorprendente film d’esordio: ma fra la percezione e il cambiamento, fra il vivere e il morire, la nostra felicità risiede nel riscontrare che l’esperienza artistica di un gruppo di giovani fumettisti, disegnatori, musicisti può essere di altissimo livello anche in una città difficile come Napoli, in un territorio spesso considerato devastato e dove la cultura è esposta all’apocalisse del degrado. Un’altra vita è possibile e un altro cinema è possibile, se questo film d’animazione per adulti emoziona e stupisce, ti conduce per mano in un mondo che mescola realtà e fantasia, spiritualità e materialità metropolitana, partitura verbale e musicale. In una città battuta da una pioggia incessante che sommerge le montagne di immondizia che invadono le strade e inasprisce fino alla ribellione gli animi e le anime di chi ancora cerca di opporsi all’ineluttabilità del destino, Sergio, taxi driver ma ex pianista, va alla ricerca della sua, di anima. Un’anima persa quando la sua vita si è fatta rimpianto, ricordo, delusione e attesa di un ritorno. Ma l’irruzione delle presenze fantasmatiche che animano il suo taxi e un’immaginaria quanto paventata eruzione del Vesuvio, lo porteranno forse all’inizio di una nuova vita.

Alessandro Rak è un regista e fumettista napoletano. Direttore artistico dello special tv in animazione prodotto da Rai Fiction Il principe di Sansereno e il mistero dell’uovo di Virgilio, è anche autore dei cortometraggi in animazione Va’, Looking Death Window e Again, vincitori di numerosi premi. Ha realizzato i videoclip animati ‘O sciore e ‘o viento dei Foja, La paura dei Bisca e Kanzone su Londra dei 24 grana. È autore dei fumetti A Skeleton Story, Bye bye jazz, Zero or One e Ark. L’arte della felicità è il suo primo lungometraggio.

Note critiche di Mariella Cruciani

L’arte della felicità trae originaria ispirazione dall’omonima manifestazione culturale ideata da Luciano Stella, produttore del film, che si tiene a Napoli dal 2005. Gli incontri con autorevoli testimoni dalle più variegate professionalità e provenienze culturali ed il successo ottenuto sono il motore dal quale nasce l’idea di un progetto produttivo di documentario in animazione che racconti il valore di tali esperienze condivise. L’incontro con Alessandro Rak, autore e regista napoletano, determina l’evoluzione del progetto che diventa una storia di finzione scritta e concepita per un lungometraggio in animazione destinato ad una platea adulta. Nasce, così, la storia di Sergio, taxista napoletano ed ex-pianista di jazz, che, abbandonato dal fratello Alfredo, già suo partner artistico, si interroga sulla propria vita, facendo i conti con ricordi, delusioni, rimpianti. In una Napoli degradata e battuta da una pioggia incessante, il taxi diviene il microcosmo in cui il protagonista si rinchiude per fuggire dal mondo ma dentro cui il mondo entra ed esce attraverso i suoi passeggeri. Rak parte dalla propria terra, dalle proprie esperienze, dalle aspettative di amici e parenti per raccontare il dilemma di una vita: “ se sia più nobile stipar nell’anima le suggestioni e i fantasmi di un’ inauspicata vita in città o prender armi contro un mare di sensazioni e, raccontandole, por fine ad esse”. Il personaggio del film, per usare le parole del regista, “è lontano dalla luce e solo grazie alla coscienza del dolore decide, infine, di andarla a ricercare”. Sergio insegue, dunque, il senso della vita e della morte per fare sua “l’arte della felicità”, come recita il titolo di una trasmissione radiofonica che, un po’ meccanicamente, scandisce e commenta gli avvenimenti del film. Un serrato accompagnamento musicale, fatto di canzoni originali e di refrain jazzistici, si intreccia a monologhi interiori e pochi dialoghi,attraverso i quali il protagonista si muove sulle tracce del fratello perduto e di se stesso. Un’opera  prima che parla di ricerca interiore, di spiritualità, di buddismo e alla quale, se si vuol rimproverare qualcosa, è proprio l’eccesso di suggestioni e ambizioni. Se, a tratti, il film deborda si avverte sempre, però, la sincerità dell’ispirazione e, per questo, si è pronti ad assecondare, comunque, il regista e il suo logorroico alter-ego.

(Mariella Cruciani)


di Redazione
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