Gianni e le donne
Un misterioso fascino buono emana fin dalle prime scene, nelle quali l’uomo sessantenne Gianni (omonimo del regista, attore e sceneggiatore Di Gregorio), da tempo libero per un prepensionamento, si muove armonico, padrone incontestato del suo mondo.
Colpisce al cinema la rappresentazione di un dialogo sereno con la figlia (anche nella vita) ventenne, che (incredibile a dirsi) con spontaneità gli confida programmi e problemi con il suo ragazzo. Colpisce pure la cortesia con cui si avvicina alle persone, e soprattutto la sua delicatezza di rapporto con la madre, ultranovantenne (interpretata da una straordinaria novantacinquenne Valeria de Franciscis Bendoni, che ricordiamo nel premiato Pranzo di Ferragosto!) viziata dal figlio generoso e dedito.
È un po’ paradossale, ma il cinema, per inseguire un’aderenza alla realtà o creare l’effettismo della caricatura sembra spesso aver dimenticato che esistono e sono anch’esse rappresentabili queste forme antiche e sempre valide di affetto. Di Gregorio ce lo ricorda, con gusto per i particolari, gli sguardi, la naturalità dei gesti, con l’aderenza persino dei nomi degli attori ai personaggi, ma senza cadere nel melenso grazie all’intervento esterno dell’amico Alfonso, colui che simpaticamente rompe l’equilibrio della sua esistenza (ambientata nel quartiere romano di Trastevere), facendogli balenare l’eventualità di un’avventura.
Ecco quindi il tarlo, peraltro sempre più diffuso, di conquistare (non più giovanissimi) una donna tanto per dimostrare a se stessi di essere ancora pienamente uomini. Quella che facilmente rischia di divenire un’esigenza indotta, dunque forzata e falsa (in questo si può vedere un carattere di denuncia, ma soft), viene invece mantenuta nei confini del tipo psicologico rappresentato grazie a un coinvolgimento solo parziale del protagonista, che, così, non si snatura e continua a essere se stesso in complicità con lo spettatore che vi si riconosce per quella sua umanità moderata non troppo passiva e mai troppo ardita.
La vita lo prende per mano in una carrellata di possibili storie romantiche e timide incursioni nell’universo delle donne, il cui punto in comune è la grazia femminile, un po’ fellinianamente procaci, ma trattenute. Di fronte a lui, uomo per bene, le donne, sembra dire il regista, si trovano a riflettere una certa finezza d’animo, come se in fondo fosse lui a ingenerare in loro un circolo…virtuoso. La bella e giovane vicina di casa che prova qualcosa di particolare nei suoi riguardi, il “capolavoro” dell’infermiera, le amiche della madre che l’hanno ormai adottato come figlio, l’antica fiamma della scuola, di una bellezza rasserenante e pulita, le due gemelle bionde, vamp ma in fondo brave ragazze che potevano magari ricevere di più dalla vita… Il sogno proibito, che sia fomentato da una pillola blu o da un’insospettata dose di droga, nelle intenzioni di questa pellicola, rimane in fondo allo stadio germinale di immagini con cui ravvivare per qualche istante la tranquilla e amabile routine.
di Redazione