Freud – L’ultima analisi
La recensione di Freud - L'ultima analisi, di Matt Brown, a cura di Emanuele Di Nicola.
Dio c’è? E se sì, dove si trova? Dove si nasconde quando scoppiano le guerre, la civiltà collassa e avanza l’apocalisse? Un confronto sul massimo sistema, quello allestito tra Sigmund Freud e C.S. Lewis, prima nel testo teatrale Freud’s Last Session di Mark St. Germain, ora nel film di Matthew Brown Freud – L’ultima analisi, titolo di chiusura del Tertio Millennio Film Fest e poi in sala il 28 novembre con Adler Entertainment. Londra, è il 3 settembre 1939. L’Inghilterra ha appena dichiarato guerra alla Germania del “signor Hitler”, come lo chiamava Churchill, e il sommo Freud sta muovendo gli ultimi passi nella nostra dimensione.
Nello specifico morirà venti giorni dopo, il 23 settembre entrerà nel sonno della morfina dopo la lotta impari contro il cancro alla mandibola di cui soffriva. All’epoca, comunque, aveva già postulato la nascita della psicanalisi, la sostanza dell’inconscio, l’Io, Es e Super-Io e così via… Non aveva stabilito, ovviamente, se esiste davvero un essere sopra di noi, ma continuava ad opporsi all’idea. Si narra che poco prima della fine ricevette la visita di un professore universitario da Oxford: chi fosse costui, non è mai stato chiarito ma il testo – e quindi il film – lo immagina in Clive Staples Lewis, scrittore e teologo, amico di Tolkien, ma soprattutto rivoluzionario della fantascienza moderna quando darà alle stampa Le cronache di Narnia nel 1950.
Freud dunque riceve la visita di C.S. Lewis. Lo accoglie a casa sua, inizia a parlarci. Anthony Hopkins inaugura un confronto attoriale con Matthew Goode, che è un grande motivo del film. L’altro è il dramma da camera, con poche significative riprese all’esterno e punteggiato da ricordi in flashback: per Sigmund il passato a Vienna, nell’Austria che non esiste più dopo l’annessione alla Germania; per Clive l’infanzia bucolica con la figura della madre e soprattutto la memoria lacerante della prima guerra mondiale, sul campo di battaglia. Freud, 83 anni, è circondato dalla presenza costante e quasi morbosa della figlia Anna, anche lei psicanalista, lesbica storicamente legata a Dorothy Burlingham in una storia che il padre disapprova; un nido esiliato e disfunzionale in attesa della dipartita del genio. Mentre alla radio si sentono le voci di guerra, dai bombardamenti alle truppe in marcia, Lewis e Freud si confrontano su Dio: il primo devo cristiano, dopo un passato d’ateismo, il maestro ateo razionalista che considera la religione una forma di disturbo, ossia una creazione dell’individuo per rispondere a determinati bisogni. Il vecchio contro il giovane, la mente contro l’anima. La contesa va in scena dentro quattro mura con la regia invisibile che asseconda il corso degli eventi, cioè dei dialoghi, e il dibattito che si sviluppa interrotto dalla tragedia della Storia (come un allarme antincendio) e dai sospiri del privato, tra ricordi, figli e relazioni. Impostato il congegno il racconto inserisce il pilota automatico e si limita a seguire le oscillazioni delle due posizioni, rispettandole entrambe, concedendo ai due cervelli l’onore delle armi. L’incontro, confronto, scontro fra Hopkins e Goode porta a casa la partita, anche nei momenti più involuti e ripetitivi. E la soluzione su Dio? Freud dice a Lewis: “Se tu hai ragione non sarai in grado di dirmelo, se ho ragione io nessuno lo saprà mai”. Così sia.
di Emanuele Di Nicola