Follemente
La recensione di Follemente, di Paolo Genovese, a cura di Marco Lombardi.

I sentimenti fanno paura, ed è per questo che Pilar Fogliati ed Edoardo Leo, aggrappandosi agli alibi dei rispettivi fallimenti passati, a forza di giri di parole, e a forza di avanti e indietro, nel loro primo appuntamento percorrono 100 chilometri per fare un metro di strada, quella che sarebbe sufficiente per scrivere un semplice “mi piaci, sto bene: proviamoci”. In nome dello stesso genere di paura, non commettiamo l’errore di definire popolare un film che riesce a raccontare in modo lineare qualcosa di estremamente profondo, perché semplicità e complessità sono due opposti che hanno bisogno di complementarietà, non di contrapposizione.
È all’interno di questa cornice che Paolo Genovese mette in scena le varie sfaccettature caratteriali di lei e di lui attraverso quattro personaggi che ronzano nella testa di ciascuno (Marco Giallini, Claudio Santamaria, Rocco Papaleo e Maurizio Lastrico nell’uomo, Vittoria Puccini, Claudia Pandolfi, Maria Chiara Giannetta ed Emanuela Fanelli nella donna): lo schema sembrerebbe essere quello di Inside Out, ma qui Cinismo, Sensualità, Paranoia e Romanticismo non sono netti come nel film della Pixar, anzi, potrebbero essere descritti in tanti altri modi perché assai più sfaccettati, cioè persone nella persona. I dialoghi sono fluidi, e assai spesso esilaranti al netto di qualche momento di attrito, cioè al netto di qualche forzatura, ma scivolano comunque via anche perché non vengono contrappuntati da quelle musichette che spesso hanno soffocato, e soffocano, il cinema italiano, lasciandoci così liberi di vivere le parole che i due protagonisti si dicono, e anche quelle che non si dicono, come fossero loro (e soltanto loro) la “Musica”.
Come in altri film di Paolo Genovese, da Perfetti sconosciuti a The Place, i luoghi del racconto sono degli angusti spazi interni che servono a creare intimità fra i personaggi e gli spettatori, con un’avvolgenza che non si trasforma mai in claustrofobia. Insomma, in Follemente c’è tanta teatralità perché siamo noi, molto spesso, a comportarci in modo teatrale gli uni con gli altri: date queste premesse di semplice complessità, e di calore, il (necessario) lieto fine non è affatto posticcio, e invece la dimostrazione che – anche se con un po’ più di fatica del necessario – ce la possiamo fare, tutti quanti, a trovare il coraggio dei sentimenti.

di Marco Lombardi