Il male non esiste
La recensione di Roberto Manassero, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna, riguardo Il male non esiste, di Ryūsuke Hamaguchi, Film della Critica per l'SNCCI.

Il male non esiste, di Ryûsuke Hamaguchi, distribuito da Teodora Film e Tucker Film è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«Una piccola comunità immersa nel silenzio delle montagne affronta un’azienda che vuole costruire in quei luoghi un camping di lusso. Gli speculatori venuti da Tokyo sapranno rispettare la Natura? E a che prezzo? Il regista di “Drive My Car” torna a stupire con un film teso e allarmante che sterza in direzioni imprevedibili, sublimando la denuncia in brivido metafisico grazie alla sofisticata trama visiva e alle musiche ammalianti di Eiko Ishibashi».

La recensione
di Roberto Manassero
C’è la natura, nell’ultimo film di Ryūsuke Hamaguchi, e c’è il modo in cui il cineasta giapponese (reduce dai premi a Cannes e dall’Oscar per Drive My Car) la filma. C’è una regione collinare poco distante da Tokyo, con i suoi boschi, i suoi torrenti, i suoi cervi da cacciare o lasciare in pace, e c’è una macchina da presa digitale che filma in modo solenne e impassibile ampie porzioni di spazio, con riprese dal basso di rami stagliati contro il cielo, carrelli laterali a seguire i movimenti nella foresta, musica d’accompagnamento che crea un’atmosfera dolce e languida, prima di interrompersi bruscamente.
Dentro questo scenario quasi bucolico, e dentro immagini precise che Hamaguchi ha sviluppato a partire da un progetto di videoarte (lo si nota soprattutto nei tempi dilatati, nei vuoti e nelle attese del racconto), ci sono anche gli abitanti di un villaggio rurale, tra i quali Takumi, tuttofare vedovo e padre di una bambina, che della sua zona conosce tutto, i luoghi, gli animali, il ritmo, il respiro.
E come il montaggio spezza le inquadrature e la musica, così il mondo di fuori arriva a distruggere un ecosistema apparentemente perfetto, quando una società di Tokyo propone di installare nei boschi un glamping, vale a dire una struttura ricettiva che unisce glamour e campeggio per turisti facoltosi. Nello scontro dialettico che nasce, tra natura e capitalismo, uomini e sfruttatori, ideale e profitto, lo stesso film di Hamaguchi riparte, si ripete e si spezza di continuo, arrivando a confondere (anche agli occhi dello spettatore) lirismo e morte, immaginazione e simbolismo. La vita, del resto, è questione di equilibrio, e così pure il cinema.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)
Sin dalla sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, la critica italiana ha accolto più che positivamente il film di Ryūsuke Hamaguchi. Alberto Libera, su Cineforum, inserisce la pellicola all’interno della filmografia del regista affermando che «il cinema di Ryusuke Hamaguchi vive da sempre di polarizzazioni dialettiche: la città e la campagna, il silenzio e la parola, la realtà e la finzione, il destino e il caso, la periferia e i centri urbani, la perdita e il riscatto, la prossimità e la distanza. Spesso e volentieri, mediatore o detonatore di queste contrapposizioni, solo apparentemente inconciliabili, è il movimento. Si tratti di una fuga, di un viaggio o di un’escursione tra i boschi, come avviene in Il male non esiste».
Gli fa eco Massimo Causo, il quale su Duels sposta ancora di più la lente, riconducendola però all’interno delle ossessioni autoriali del regista: «il mondo non esiste nel cinema di Ryusuke Hamaguchi, o meglio esiste al di là dello spazio spirituale in cui i suoi personaggi si muovono. La sensazione di essere capitati in un a parte, dove vige una dimensione differente delle azioni e delle relazioni, è una costante dei suoi film. Che si offrono sempre con una quieta tensione interiore: qualcosa che smargina improvviso nella realtà degli eventi, ma tendenzialmente cova sotto una coltre di serenità e atarassia, che ottunde nel bene e nel male la verità delle relazioni».
Giampiero Raganelli, invece, su Quinlan pone l’accento sul grande fascino formale del film. Scrive infatti il critico: «Il male non esiste contiene momenti elegiaci di grande fascino estetico, alberi che sfilano ripresi da una carrellata dal basso, una panoramica che esplora lo spazio e poi diventa un camera-car che si sposta sulla strada, nel retro di un’automobile, laghetti ghiacciati e altro. Immagini di grande armonia concepite con l’interazione della compositrice Eiko Ishibashi, in una collaborazione che parte dalla realizzazione di filmati che il regista ha realizzato per un concerto di quest’ultima, che poi hanno costituito l’ossatura del film». Anche Aldo Spiniello, di Sentieri Selvaggi, è della medesima idea quando afferma che «l’acqua è la figura fondamentale di Il male non esiste, ciò da cui tutto nasce e ciò che va salvaguardato nel miglior modo possibile. Al punto che le stesse immagini del film sembrano farsi liquide. A cominciare dalla sequenza iniziale, quella lunga carrellata che riprende i rami e le chiome degli alberi dal basso verso l’alto, perpendicolarmente. E che suggerisce la sensazione di qualcosa che scorre, come una lenta pioggia che bagna lo schermo».
Sul fascino enigmatico e interpretativo dell’opera, si sofferma anche Cristina Piccino, che, su Il Manifesto, si domanda: «cosa racconta Il male non esiste, il nuovo film di Hamaguchi Ryusuke che arriva dopo la sorpresa e il successo di Drive My Car? Una storia di brusche virate, comunità e conflitti contemporanei, di improvvisi sussulti metafisici in cui balena il sentimento catastrofico del pianeta oggi». Anche Lorenzo Ciofani pone l’attenzione sulla dimensione ambientale. Scrive infatti così sulle pagine di La Rivista del Cinematografo: «è il dramma di una comunità – un villaggio nei pressi di Tokyo, emblematico di un Giappone non immune al tempo che passa ma ancora immerso in una dimensione atavica – riverberato nell’esperienza dei singoli, in cui sin dai primi, ammalianti minuti Hamaguchi stringe un patto con la natura, mettendosi in ascolto del suo ciclo perpetuo, dando a immagini “documentaristiche” la caratura epica di un quotidiano che si ripete identico nei secoli».
di Roberto Manassero