Making Of
La recensione di Making Of, di Cédrik Kahn, a cura di Mariella Cruciani.
Il “Making of” di Cédrik Kahn è quello girato da Joseph (Stefan Crepon), comparsa talentuosa del film di Simon (Denis Podalydès), regista in crisi nella vita privata ma determinato a denunciare il cinismo del capitalismo e l’umiliazione dei lavoratori in seguito alla chiusura di una fabbrica.
All’impegno del cineasta che intende realizzare “un esempio di cinema sociale, una tragedia con gli operai che interpretano se stessi”, i coproduttori reagiscono con risate, fregandosene della catarsi e pretendendo un finale positivo e rassicurante. Anche gli attori, sul set, non aiutano: il protagonista Alain (Jonathan Cohen) vuole sempre il centro della scena e litiga con la collega Nadia (Souheila Yacoub), della quale si innamora Joseph, alter-ego giovane di Simon.
Lo sfruttamento economico, che, a dispetto di tutto e tutti, il regista si ostina a voler accusare, diventa presto quello subìto dalla troupe, costretta a scegliere, dopo la sospensione dei finanziamenti, se mollare o continuare a lavorare gratis.
“Stai facendo la stessa porcheria che condanni nel film” – contesta qualcuno a Simon. E lui, di rimando: “Non vi vergognate a paragonarvi agli operai?”. A questo punto, con la sovrapposizione della finzione alla vita reale del set, l’opera autentica e decisiva diventa proprio il “making of” di Joseph…
Se, per il film nel film, è inevitabile pensare ad Effetto notte di Truffaut, il versante dell’impegno sociale ricorda Guédiguian e, in particolare, A l’attaque!, storia, in chiave metacinematografica, della lotta di operai marsigliesi contro multinazionali e globalizzazione. Per quello che riguarda, infine, la vita privata di Simon, messo alla porta dalla moglie Alice (Valérie Donzelli) e incapace di accettare la separazione, l’accostamento spontaneo è a Nanni Moretti ne Il Sol dell’avvenire, e non solo.
Nonostante le molteplici suggestioni e gli eterogenei riferimenti, Making of raggiunge, però, una sua unità e compattezza e, senza mai scivolare nel dramma o nella farsa, ci spinge a riflettere, con ironia e malinconia, sulla società (“Ha ancora senso parlare d’operai al giorno d’oggi?”), sul cinema (“Sono come il protagonista del mio film: mi sento solo!” – dice Simon), sui sentimenti, sulla vita e i suoi imprevisti tragicomici.
di Mariella Cruciani