Linda e il pollo
La recensione di Linda e il pollo, di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach, a cura di Guido Reverdito.
Linda è una bambina come tante altre. Ha perso il padre quando aveva solo un anno e da allora vive con la madre Paulette. Con la quale ci sono spesso storie tese dovute (almeno in parte) alla ferita che quella perdita ha lasciato indurendo i loro cuori e creando uno iato di freddezza che non le aiuta a fare squadra. Un giorno, convinta che Linda le abbia perso un anello di grande valore affettivo giocandoci, Paulette la mette in castigo. Ma quando capisce di averla accusata ingiustamente, per cercare di riparare all’errore, le promette di esaudire un suo desiderio: e la figlia chiede che le prepari il pollo ai peperoni, una ricetta che era la specialità del padre. Ma quella che all’apparenza sembra una richiesta facile facile, diventa il detonatore involontario di un’inattesa e imprevedibile odissea metropolitana a caccia di un pennuto da fare in pentola. Paulette ignora infatti che fuori c’è sciopero generale e anche le cose più semplici (come reperire gli ingredienti per cucinare un pollo ai peperoni oltre all’animale stesso) diventano un’impresa titanica.
Questo gioiello animato battente bandiera franco-italiana è il prodotto della collaborazione di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach: italiana lei ma da anni residente in Francia e con alle spalle una ricca serie di prodotti di animazione di altissimo livello anche se spesso di nicchia, francese lui e non solo regista e illustratore di successo, ma anche docente presso la prestigiosa École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs. Visto quindi il profilo dei due autori, non ci deve stupire più di tanto se Linda e il pollo, presentato in concorso al 41° Torino Film Festival e al Biografilm di Bologna, abbia vinto il Cristallo d’argento all’Annecy Animation Film Festival, ma soprattutto il César – l’Oscar transalpino – come miglior film d’ animazione del 2023.
Deciso a rivolgersi al pubblico per cui è stato pensato trattandolo non come spesso accade nei prodotti di animazione alla stregua di un’accozzaglia di bamboccioni da stordire a colpi di fiabe e fantasy ma come un insieme di teste pensanti capaci di affrontare storie che rappresentino in maniera realistica casi di vita vissuta, Linda e il pollo ha il coraggio di affrontare con semplicità diretta un tema complesso e sdrucciolevole quale le dinamiche affettive tra genitori (nevrotici e alienati) e figli (in parte in balìa di se stessi e spaesati per l’assenza di modelli affidabili cui riferire la propria crescita interiore).
Se questo poi non bastasse, la sceneggiatura – che solo se affrontata in maniera superficiale può sembrare la cronaca di un’odissea vorticosa fatta di corse e rincorse alla ricerca di un pollo difficile da trovare quanto una specie di Graal del XXI secolo – ha il coraggio di trasformare questa ricerca in un viaggio di riconnessione e ricucitura emotiva di quanto andato perduto negli anni: “Linda vuole del pollo”, recita il titolo originale in francese. Ma in italiano si perde il gioco di parole tra “Paulette” (la madre) e “poulet” (il pollo). Ovvero il percorso a ostacoli che una bambina deve fare per riconquistare l’affetto perduto di una madre indurita dalla rabbia per quello che la Vita le ha scippato.
Il tutto condito da una scelta tecnica perfettamente in linea la poetica dell’essenziale e del realismo di rappresentazione che sta alla base dell’intera operazione: il tratto è semplice come lo sarebbe quello di un bambino che voglia disegnare il proprio mondo, mentre ogni personaggio viene identificato con un colore diverso mantenuto costante per l’intera durata della pellicola. Per distinguere con chiarezza cromatica ciò che non va confuso, ma anche per ribadire che la sola cura contro la tristezza di chi vive tarpato nel grigiore del disagio interiore può essere il trionfo del colore come celebrazione del ritorno alla serenità.
di Guido Reverdito