Little Jaffna
La recensione di Little Jaffna, di Lawrence Valin, a cura di Emanuele Di Nicola.
Little Jaffna è uno di quei film che trovano la propria peculiarità già nella scelta del contesto: è ambientato infatti nella comunità Tamil di Parigi, detta appunto piccola Jaffna, dove vivono i migranti dallo Sri-Lanka insieme ai ragazzi di seconda generazione. E fiorisce una vasta attività criminale, perché Little Jaffna è anche un film di gangster. Questa l’altra freccia del titolo diretto da Lawrence Valin, anche attore protagonista, proiettato in chiusura della Settimana della Critica al Festival di Venezia 2024.
Al centro c’è Micheal (Valin, appunto), un giovane agente di polizia che viene infiltrato nella “mafia” locale, ossia nei criminali originari proprio dallo Sri-Lanka che compiono attività illecite per finanziare i ribelli separatisti dello Stato asiatico, a cui inviano parte dei guadagni. La specialità è l’estorsione: tutti pagano il pizzo a Little Jaffna, ovviamente, e chi si rifiuta fa una brutta fine: l’organizzazione è particolarmente spietata, dura e senza sconti, proprio come il suo capo, il maturo Aya che governa tutto con mano ferma.
Michael lavora undercover, sotto copertura, e così si fa strada nel cuore nero della gang. Mentre la sua posizione avanza gradualmente, mantenendo il segreto pena morte certa, si insinua però anche un rovello etico-morale: contro il regime dittatoriale dello Sri-Lanka, e le sue uccisioni di massa, fin dove è lecito spingersi per sostenere i ribelli? È il dubbio che avvolge il giovane poliziotto, che resta pur sempre un agente in incognito. Ecco allora emergere la vera potenza del film: sollevare una questione etica, etnografica e politica, ma con l’abilità di mantenere sempre vivi i codici del gangster, anzi esaltandoli a tratti.
C’è l’infiltrato, il rischio perenne di essere scoperti, il boss mefistofelico, la dinamica degli eventi che si incarta fino alla resa dei conti; e c’è una regia post-scorsesiana che disegna un film di genere a colpi di ralenti, esplosioni cromatiche, ammazzamenti (il migliore sul tetto), soldi che passano di mano in mano e un uso sapiente del sangue. Il racconto segue la posizione di Michael, sempre in bilico, che viene ora “coccolato” dal boss e ora minacciato implacabilmente, tra inclusione nella comunità – di cui tutti fanno parte – e virate improvvise nella violenza. Menzione d’onore per il regista-protagonista, che si aggira dolente per la storia con quelle macchie di vitiligine sul volto che lo rendono ancora più particolare e straniante. Un gangster movie Tamil che finora mancava.
di Emanuele Di Nicola