Ricordi: per Aberto Farassino

Caro Alberto, scrivo l’ultima e-mail a un amico ritrovato, come già mi è accaduto per Gianni Buttafava. Per entrambi resta il rimpianto di una frequentazione non assidua, pur nell’ambito di una costante ammirazione, di un’istintiva partecipazione, di una immutata cordialità reciproca, di qualche occasione di collaborazione e di una vicinanza che nell’ultimo anno della tua vita, contrassegnata da una grande forza d’animo e da un impegno a operare sino all’ultimo, ho sentito profonda.
Per chi non lo avesse inteso sto parlando di Alberto Farassino, nato a Caluso (Torino) l’1 agosto 1944 e spentosi a Milano il 31 marzo 2003. Ti meriteresti un libro, tanti libri, non un frettoloso necrologio. Perché sei stato un costruttore. Che cosa privilegiare di te? Forse le doti di organizzatore e di programmatore, esercitate in tutti i campi in cui hai operato. Forse le qualità di scrittura, come ha sottolineato, nel ricordo, Adriano Aprà. Forse la curiosità per il cinema marginale e diverso, come ben documenta il tuo ultimo libro, Fuori di set. Viaggi, esplorazioni, emigrazioni, nomadismi (Bulzoni, 2002). Forse il tuo amore per i cineclub, dove hai contribuito a esibirci reperti preziosi, sia operando con Franco Quadri al Club Nuovo Teatro, sia agendo con Tatti Sanguineti al Cineclub Brera. Forse l’impegno universitario (non accademico) espresso alla Cattolica di Milano, a Genova, a Trieste e infine a Pavia, con i tuoi studenti – caso raro – che piangono pubblicamente la tua morte. Forse l’impegno espresso nei confronti dei piccoli ma vivacissimi festival di cui ti sei occupato, da Rimini a Cattolica. Forse la tua attività di critico, principalmente esercitata e poi stroncata su la Repubblica, di cui comunque sei stato collaboratore dal 1976 (la fondazione) a oggi (ultimo tuo intervento una lunga intervista telefonica a Salvatores).
b Si dovrebbe parlare dei libri che ci hai lasciato: dalle monografie sul prediletto Jean-Luc Godard, continuamente rivisitato, su Luis Buñuel, su Giuseppe De Santis agli studi sul neorealismo, su Mario Camerini, sulla Lux, altrettanti segnali di un’attenzione ondivaga quanto determinata. Dobbiamo, anche qui, assolutamente ricostruire il tuo percorso e trarne indicazioni. Mi piace ricordarti con alcuni incidenti di percorso. Come quando (1974) insieme ad altri tre moschettieri di “Cinegramma” (Casetti, Grasso, Sanguineti) salivi sul palco bolognese di Erotismo, eversione, merce. Come quando, guidati da Francesco Ballo, percorremmo una Pordenone-Milano senza che tu (piemontese tosto) quasi pronunciassi parola (ma le poche che dicesti erano illuminanti). Come quando, partecipai a una tua iniziativa torinese e venisti a casa mia a constatare materialmente l’esistenza dei libri di cinema usciti in epoca neorealistica, e quasi ti emozionasti. Come quando vivemmo insieme la breve e sfortunata vicenda di una gestione “lombarda” del Sindacato Critici, noi sprovveduti di fronte alla burocrazia romana. Come quando mi sei stato molto vicino in occasione di un mio recente lutto che corrispondeva proprio all’inizio della tua malattia. Come quando, qualche mese fa, mi prestasti un libro introvabile sulla storia della critica francese, e quando mi scusai per non avertelo ancora restituito mi dicesti: “Tienilo pure, tanto a me non serve più”. Che la terra, caro Alberto, ti sia lieve (e profonda), come quello che ci lasci.


di Redazione
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