Il destino est(etico) di Gaglianone

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nemmenoildestinogagianoneGaglianone in dvd? Il suo Nemmeno il destino sugli scaffali con la N di Nemo o di New Hollywood? Come si permette, come s’intromette, un autore con un handicap doppio: esser giovane, esser italiano? Come ci permettiamo, come la mettiamo, noi che invece di indicare dvd classici ai laboratori di audiovisivi delle Scuole di Cinema d’ogni genere e grado (film consolidati, cofanetti, col fiocco del restauro, del bonus-disc pieno di extra) ce ne usciamo con un titolo così fresco? Non sarà acerbo? Non sarà pericoloso, indicare un regista giovane, in contatto con la realtà quotidiana giovanile? Non farà emergere desideri di emulazione espressiva? Non sia mai, addirittura di creatività?

Nell’incipit di Nemmeno il destino vediamo tre ragazzi a zonzo, Ale, Ferdi e Tony, che significativamente paiono padroni della macchina da presa che li pedinerà per tutto il film, zavattinianamente, lungo il loro comune destino. Scherzano attorno all’obiettivo come in un filmino di vacanze, a sottolineare che quella del film è la loro storia, è il loro punto di vista, la loro focalizzazione narrativa, «nessuno, ti giuro, nessuno, nemmeno il destino ci può separare» (Betty Curtis e Wilma de Angelis, Sanremo ‘59), all’interno d’una storia che – al contrario – è costellata di separazioni, di perdite degli affetti esterni e anche di sé, di smarrimenti di riferimenti interiori, di violenza nello strappar via in età adolescenziale le relazioni significative che ci consentono di crescere e di stare al mondo, del dolore del lutto e della solitudine. Rimane una macchina-cinema a cui raccontare. I banchi di scuola e i ragazzi dai vestiti sdruciti coi petardi in mano e il motorino sotto il sedere, roba da ridere, certo, ma continua a seguirli con la cinepresa, e troverai un papà alcolizzato, una mamma che si è chiusa in se stessa, la fame di affetto, l’urlo e il furore (per dirla con Faulkner, citato nel film) implosi nella trachea, la Torino periferica dei nostri anni, così simile a un ghetto semi-abbandonato, il grigiore di una comunità alloggio. «Forse riusciamo a esprimere solo da adulti ciò che solo da ragazzi riusciamo a sentire», spiega Gaglianone in un’intervista uscita a braccetto del film (M. PORRO, Nemmeno il destino, “Il Corriere della sera”, 11/9/04). Ma come, idee del genere non le aveva solo Truffaut? O magari i fratelli Dardenne de La promesse (Belgio 1996, opera che ha molto da spartire con Nemmeno il destino)? Il film di Gaglianone parla in modo forte e chiaro, sia sul piano dei contenuti (è tratto dal romanzo omonimo di G. BETTIN, Feltrinelli, Milano 1997) sia sul piano formale: scelte stilistiche ai limiti della felice fantasia sperimentale, innovazioni sorprendenti anche sul piano sintattico, nel modo in cui le sequenze sono montate fra loro, per renderle più rispettose del flusso d’emozioni che ribolle nella mente dei piccoli protagonisti, con intrecci indissolubili di etica e di estetica… Ma il cinema italiano, insomma, non si era stabilito che stesse riposando in pace?

Gaglianone in dvd, fra i dvd acquistandi dalle Scuole di Cinematografia? Sì, ce ne assumiamo i rischi. Un po’ di storia recente del cinema italiano, anzitutto, per rafforzarci nel coraggio. Nemmeno il destino di un cinema che regolarmente si annuncerebbe già morto o certo morituro; nemmeno il destino – scrivevamo – impedisce che, di anno in anno, continuino ad affacciarsi agli schermi delle sale, poi dell’homevideo, nuovi autori, nuove opere, che riescono addirittura a conquistare il pubblico, addirittura a rimodulare con stili perfino innovativi i linguaggi audiovisivi, addirittura a mostrarsi in salute, nonostante gli epitaffi già composti.
Ostinata vitalità? Rabbia giovane, magari? Di sicuro non ne vogliono sapere, Benvenuti, Virzì, Mazzacurati, Piccioni, Muccino, Calopresti, Chiesa, Bechis, Ozpetek, Segre, da metà anni ’90 ad oggi, di smettere di filmare, di distinguersi in modo concorrenziale rispetto alla tanto decantata imbattibilità (sia da critici “apocalittici”, sia da critici “integrati”) del prodotto statunitense. E così, anche negli ultimi 3-4 anni, che sia toccato al Giordana de La meglio gioventù (le cui qualità sono a un tratto scoperte da Sight and Sound, july, London 2004), al Garrone de L’imbalsamatore o di Primo amore, al Crialese di Respiro, infine al Gaglianone dei Nostri anniNemmeno il destino, il destino è sempre quello. Emergono regolarmente.

Ed ecco, quindi, un «nuovo giovane regista a mostrare tutto ciò che il resto del cinema italiano trascura omette e censura» (F. FERZETTI, Nemmeno il destino, “Il Messaggero”, 11/9/2004), per poi scoprire che il regista non è propriamente nuovo né così tanto giovane («Daniele Gaglianone, nato ad Ancona nel ‘66, laurea in Storia del Cinema, dal ‘91 collabora con l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza ed è autore di film quali La feritaMario Soldati e il cinemaCinecronache partigianeAntonio Gramsci gli anni torinesiTutti mi chiedono da dove vengo nessuno vuol sapere chi sonoI nostri anni, e di collaborazioni alla sceneggiatura di film quali Così ridevano di Amelio»). Sulla fascetta del dvd, inoltre si legge “il nuovo autore”; fra gli extra, scopri che non è affatto così. Bizzarrie del marketing, in realtà sintomatiche del modo sghembo e senza coraggio di tirare avanti della distribuzione cinematografica del Paese. Ogni volta, pare che una fortunata eccezione confermi la regola. Mai, davvero, che sorga il dubbio che la regola (gli asfittici luoghi comuni sul cinema italiano) sia da rivedere alla luce della realtà. “L’Italia cinematografica s’è desta?”, chiede, uno fra tutti, a sorpresa, Gianni Canova su un recente numero della cinerivista Duellanti (G. CANOVA, cit., marzo 2005). Nemmeno il destino di un regista come Gaglianone, nemmeno la qualità del suo lavoro, permettono ancora di allargare il discorso.


di Gabriele Barrera
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