Il cinema d’animazione di Michel Ocelot, ovvero l’arte della semplicità

Tra i vari cartoni che, in tempo di festività natalizie, hanno invaso le sale merita una segnalazione particolare il raffinato Principi e Principesse di Michel Ocelot.
Dopo il successo inaspettato, ottenuto lo scorso anno con Kirikù e la strega Karabà, il regista francese torna a raccontare le sue storie in maniera ancor più essenziale.

I sei piccoli racconti che compongono Principi e principesse sono, infatti, realizzati soltanto con l’ausilio di un paio di forbici, una macchina da presa 16 mm. fissa, una lastra di vetro e delle marionette piatte, ritagliate sulla carta nera e con articolazioni in fil di ferro per poterle muovere a mano.
Ocelot, convinto assertore della semplicità e contrario a qualsiasi movimento che non sia giustificato, realizza, con la tecnica delle ombre cinesi, un piccolo capolavoro d’animazione per grandi e piccini. Non solo per la forma, ma anche per il contenuto.

Se già in Kirikù e la strega Karabà, il regista francese aveva affiancato al tradizionale simbolismo delle fiabe un insolito realismo e introdotto tematiche più vicine ai giorni nostri, quali l’esigenza di un rapporto paritario tra uomo e donna, in Principi e principesse compie una vera e propria rilettura in chiave femminista delle fiabe tradizionali.
Nei sei episodi del film, le principesse sono, una volta tanto, non mero oggetto del desiderio maschile ma protagoniste e detentrici del potere. Scorrono, così, sullo schermo le immagini di una regina egiziana padrona della vita e della morte dei suoi sudditi, di una strega colta ed intelligente, di una vecchietta giapponese prepotente ed ironica, di un’ennesima principessa che lamenta la sua solitudine ma, anche, la pochezza dei pretendenti.
Per giungere, poi, al gran finale, che sconvolge ogni tipo di aspettativa: il principe e la principessa di turno, dopo una serie di trasformazioni a catena, si ritrovano l’uno nei panni dell’altra. E decidono di essere, comunque, una coppia.

Con ironia e leggerezza, Ocelot mette, dunque, in discussione gli stereotipi di maschile e femminile e indica agli spettatori la possibilità di una relazione uomo-donna libera da ruoli codificati dalla tradizione o validi in assoluto.
Come ogni fiaba che si rispetti, infine, la pellicola del regista francese non dimentica di offrire preziosi suggerimenti per districarsi nella vita affettiva. Così, l’episodio della strega insegna che, per far breccia nell’altro, tanto temuto, spesso basta presentarsi senza armatura e gettare le armi. O, come dimostra la storia della regina crudele e dell’ammaestratore del flauto, simile, per certi versi, ad un film per grandi come Lezioni di piano di Jane Campion, anche la persona apparentemente più irraggiungibile può smettere di dare ascolto al proprio orgoglio, se trova qualcuno disposto ad imparare il suo linguaggio.


di Mariella Cruciani
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