La nuova pornografia
“In un film come in un romanzo puoi descrivere la realtà come la senti, non necessariamente come la vivi. Hai una grande libertà di spingerti oltre i confini consentiti. E questo forse ha dato fastidio. Il nostro non è un film reale, semmai realistico” dichiara la scrittrice e regista Virginie Despentes a proposito del suo Baise mois, in un’intervista concessa al quotidiano La Repubblica, 23 novembre 2000.
E’ proprio sulla questione sempre aperta del realismo inteso nella sua accezione più ampia, che andrebbero fissate le coordinate per il definitivo superamento della dicotomia o dell’antitesi erotismo-pornografia. Ma il realismo come scelta morale e linguistica sembra sempre di più essere prerogativa del punto di vista femminile sull’erotismo. A testimoniarlo è un gruppo, esiguo ma significativo, di opere recenti, almeno tre delle quali girate da donne (Breillat, Despentes, Maiorca). Ma anche nei rimanenti film diretti da uomini (Aranda di Lo sguardo dell’altro, Davide Ferrario di Guardami e Salvatore Piscicelli di Il corpo dell’anima) è il punto di vista della donna ad assumere un particolare rilievo definendo il complesso universo dei sentimenti.
Se ad esempio Le età di Lulú di Bigas Luna fosse stato girato da una donna, magari la stessa Almudena Grandes, autrice del libro, forse il suo realismo sarebbe stato più convincente, ossia più coraggioso. Le ragioni di tale differenza di sguardo vanno ricercate nella verità del corpo femminile che il punto di vista maschile vorrebbe piuttosto “catalogare” come freddo oggetto del desiderio e visualizzare, secondo un’ottica che ne rivelerebbe solamente la bellezza esteriore, anzichè la sua sostanza, ossia il suo essere soggetto attivo e non semplice oggetto.
Il corpo femminile dischiude i suoi segreti nell’effettivo superamento dello sguardo voyeuristico maschile che è pur sempre predominante nella maggior parte dei film con presenza di elementi erotici, spesso identificabile con equivoci alibi estetici (ad esempio la moda mai tramontata del soft-core di un estetismo equivoco) unita all’elemento pregiudiziale del sesso maschile che non deve mai apparire in primo piano. Si può affermare dunque che il punto di vista femminile non arretri neppure davanti all’hard-core poiché esso di fatto non esiste, anzi non è mai esistito, se non come prodotto di un mercato planetario certamente voluto dagli uomini. In tal senso Baise moi testimonia, al di là dei suoi forti limiti narrativi, che hard-core non è necessariamente la quintessenza della pornografia, ma un principio di realtà.
Da tali considerazioni è facile giungere all’idea dell’espressione del corpo come parte della fenomenologia dei sentimenti a cui il corpo e l’uso di esso è intimamente connesso. L’atto sessuale non simulato, o mostrato fin nel dettaglio, diviene parte essenziale di un rito che si ripete nel quotidiano, ma che al tempo stesso viene ripetutamente mistificato ogni volta che se ne simula la gestualità. Il canovaccio che queste opere sembrano voler incarnare è il rovesciamento del ruolo femminile nel confronto-scontro tra i sessi, ossia nella dialettica maschile-femminile, in cui essa viene assumendo un ruolo predominante, disarticolando i meccanismi di attesa del soggetto maschile. Baise moi ne offre una lettura certamente estremizzata capace tuttavia di coniugare il binomio eros e violenza in senso puramente fenomenologico.
Nel film il ruolo maschile spetta di diritto alle due donne protagoniste che dunque assumono il duplice ruolo di vittime e carnefici senza per questo cedere nell’ambiguità giustizialista di certo cinema americano contemporaneo.
Ma ancor più nel film di Vicente Aranda Lo sguardo dell’altro o in quello di Chaterine Breillat Romance X, il corpo femminile viene assumendo, come nel Salò pasoliniano, un’aura sacrale la cui violazione-prevaricazione da parte dell’uomo diviene a sua volta, nichilisticamente, la misura esatta del sacro.
di Maurizio Fantoni Minnella