Ballare per immagini
Giuseppe Ghigi firma una panoramica su una particolare giornata della Biennale Danza dedicata a film legati al mondo della danza.
Trent’anni fa, la documentazione cinematografica sulla danza era cosa rara e di scarsa qualità. In pochi anni siamo passati a una iper documentazione: si è venuta così a creare una memoria delle coreografie e in questo modo, dalla sfuggevolezza affascinante di un’arte effimera per costituzione, si è passati ad un archivio visivo durevole fatto di materiali anche pregevoli in sé. La “video-danza” è diventata nel tempo una sorta di genere cinematografico: lo screendance che sarebbe meglio definire dance for camera. Sono materiali che hanno una loro dignità visiva, tanto da essere entrati da anni nei programmi di festival dedicati come Cinedans (Paesi Bassi), Dancescreen (Austria), Dança em fogo (Brasile), Dance on Camera (Stati Uniti) e, in Italia, Il coreografo elettronico, e ora anche nel programma del 17. Festival di danza contemporanea della Biennale di Venezia che propone il 23 luglio una giornata no-stop di film legati soprattutto ai balletti del programma del festival che saranno presentati e commentati dagli stessi coreografi degli spettacoli: Andrea Peña, Luna Cenere, Botis Seva, Oona Doherty, Lucy Guerin, Pontus Lidberg, Tao Dance Theater, Michael Keegan-Dolan, cui si aggiungono due artiste comeSue Davies e Gisèle Vienne.
Nel programma Written on Water di Pontus Lidberg dove balla anche Leslie Caron (che duettava nel 1951 con Gene Kelly in Un americano a Parigi) storia di una donna felicemente sposata ma perseguitata da una storia d’amore irrisolta del suo passato, un’esplorazione fisica sul desiderio e sui confini permeabili di finzione e realtà. Al fianco di Caron (classe 1931…), i ballerini e coreografi Aurélie Dupont e Alexander Jones. Lidberg, alterna la danza e le coreografie con il cinema: nel 2007 ha diretto The Rain un film con Alicia Vikander tutto ambientato e ballato sotto una pioggia incessante e nel 2012 Labyrinth Within con l’ex primo ballerino del New York City Ballet Wendy Whelan e Giovanni Bucchieri.
Seguono I’m in the Forest di Lucy Guerin e Angus Kemp che danzato in una galleria vuota, senza pubblico, oscilla tra le motivazioni interiori dei danzatori, la traccia residua e il senso di presenza e l’impronta residua che si lasciano dietro; Manifesto di Andrea Peñache indaga sulla nostra realtà postindustriale dove l’artificialità è intrecciata con i nostri corpi e le nostre menti e l’artificio contamina le nostre interazioni ed esperienze; Genealogia_Time specific di Luca Cenere un progetto di ricerca di natura installativa, a cui si aggiunge il carattere relazionale di una comunità, un gruppo che si fa espressione, luogo, paesaggio in trasformazione e migrazione; Inside the Blind Iris di Botis Seva un film sperimentale sulla danza che esplora l’oppressione e l’assenza di un senso d’appartenenza e Navy Blue Faces di Oona Doherty e Luca Truffarelli che indaga sull’emozione provata da una serie di persone in una notte di un blu profondo e cupo.
Nel programma della giornata no-stop anche Pay Attention to More Human Bodies di Tao Dance Theatre, Transparent di Sue Davies con animazioni di Noriko Okaku, The Dance diretto da Pat Collins con coreografie di Michael Keegan-Dolane, infine, If it Were Love diretto da Patric Chiha con Gisèle Vienne che porta in tournée quindici giovani danzatori di origini e orizzonti diversi.
di Giuseppe Ghigi