Rido perché ti amo

La recensione di Rido perché ti amo, di Paolo Ruffini, a cura di Marco Lombardi.

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Semplicità non è sinonimo di banalità, ma quando gli ingredienti di un film sono pochi, come succede in un piatto, ogni (seppur piccolo) errore risuona forte, come in una stanza vuota. Quindi: evitiamo di snobbare questo film di Paolo Ruffin solo perché racconta con leggerezza una storia d’amore basica, che magari qua e là potrebbe anche commuovere. Piuttosto domandiamoci se l’insieme funziona, cioè se riesce a rispettare i tempi, e le quantità, e le temperature, proprio come se fosse un dolce da mettere in forno.

Ci sembra questo il miglior schema valutativo possibile perché il protagonista, Leopoldo Timi, è un pasticcere di successo rovinato dal successo, fino a diventare una persona che non sa più sognare e soprattutto essere felice, da solo e con la fidanzata Amanda, che aspetta paziente che lui si decida a mantenere la promessa fatta da piccolo, fare con lei una famiglia. All’ennesima dimostrazione di egoismo di Leopoldo, tuttavia, Amanda decide – dopo aver rinunciato a una carriera da ballerina, in passato – di cogliere un’opportunità come docente all’Opera di Parigi proprio a una settimana dal loro matrimonio, in pratica lasciandolo. Tutto il film diventa quindi il tentativo di Leopoldo di riconquistarla in quei sette giorni, mettendo in atto i tanti piccoli grandi sogni di vita che aveva disegnato e condiviso con lei su un quaderno di scuola, quando erano piccoli.

La storia che esce dal forno è piacevole, ma ecco un primo errore sui tempi di cottura: i meccanismi psicologici sono (talora) affrettati, perché Leopoldo capisce di aver sbagliato troppo in fretta, e perché una ragazza che fa parte della compagnia di amici capitanata da Paolo Ruffini, all’improvviso – dopo averlo respinto e respinto e respinto – cede alle avance del calimero del gruppo, l’attore/bersaglio di tante vessazioni da parte di Checco Zalone in Che bella giornata. Altra piccola stonatura, questa volta in termini di quantità: alcuni interpreti recitano in modo un po’ troppo teatrale (è il caso – soprattutto – di Loretta Goggi), ma Greg è bravissimo nel ruolo di cartolaio/confessore di anime, Nicola Nocella mette in campo tutta la sua sensibilità (che lo rende credibile più come essere umano, che come pasticcere) e Paolo Ruffini fa il suo.

Ultima (piccola) incrinatura, in termine di temperature: anche se all’interno di una sceneggiatura che tutto sommato regge, alcuni dialoghi cercano troppo il calore del pubblico, risultando lievemente forzati, cioè da cabaret. Tirando la linea, però, sono più le cose convincenti di quelle non convincenti, in Rido perché ti amo: si tratta infatti di un film nato non per stupire, bensì per trasmettere una (comunissima, cioè popolare) energica dolcezza, proprio come fa quella zuppa inglese che non a caso è il cavallo di battaglia di Leopoldo Timi.


di Marco Lombardi
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