Alina Marazzi, per un cinema del rispetto

Vogliamo anche le rose, smagliante mescolanza di documentario e di fiction (il ter-mine docu-fiction sta assumendo col tempo una sfumatura curiosamente negativa, ci pro-poniamo quindi di non utilizzarlo), è frutto dell’altrettanto smagliante abilità registica di Alina Marazzi (Italia / Svizzera 2007), un film scoperto e applaudito in anteprima dal 60° Festival di Locarno, a metà estate, ed a fine autunno ripresentato al 25° Torino Film Festival dalla direzione di Nanni Moretti).
La vivacissima dinamica visivo-narrativa del film – attraverso le storie di tre donne, conte-nute nei loro diari dispiegati allo spettatore da tre diverse voci off, quelle delle attrici Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti – tenta di rispecchiare (ma soprattut-to di rispettare, ed è questo il punto, è questa la cifra stilistica propria dell’autrice) la dina-mica del femminismo nell’Italia degli anni ’60 e soprattutto ’70 – c’è qualcuno, forse, che non sia stato tentato di rimuoverli dalla memoria? –, con le forti pressioni della morale cor-rente (prima ancora che della religione cattolica) apertamente in contrasto con le pulsioni di una società femminile in febbrile mutazione (prima ancora che di un corpo femminile che tenta di vivere, o meglio ancora di viversi, con tutto l’entusiasmo e l’insicurezza della sua “prima volta”, diversamente da quanto abbia fatto nei secoli dei secoli).
È il racconto di un conflitto e di una nevrosi collettiva, dunque, solo apparentemente guarita (e in realtà esclusivamente rimossa) dalla sedicente liberazione sessuale dei de-cenni successivi del nostro Paese, proprio com’era la storia di una nevrosi (sfociata in psi-cosi) la dinamica narrativa dello straordinario Un’ora sola ti vorrei, 2002, premiato come Miglior Documentario Italiano di nuovo dal Torino Film Festival: cioè il tragitto esistenziale e infine il suicidio di una donna, la madre della regista, raccontata con inedita vitalità trami-te quei “corpi morti audiovisivi” che di norma sono le foto e i filmini amatoriali “di famiglia”, che riposano in pace in bobine e scatole riposte nei nostri cassetti, e che invece grazie all’intelligenza e alla sensibilità della Marazzi riprendono vita, parola, e con dolore e com-postezza ammirevoli parlano di una storia femminile e anche di Storia italiana tramite un uso estremamente creativo (e in fondo squisitamente ejzenstejniano) del montaggio cine-matografico. Una regista eclettica, mai paludata o politicamente corretta, attenta ed emo-zionata dalla scoperta dell’universo femminile, come dimostrato anche dal film Per sempre (2005, ancora una volta scoperto a Locarno, documentario su un gruppo di donne, spesso giovani ed estremamente intelligenti, che decidono di rinunciare al mondo e di abbracciare la vita monastica di clausura).
«Desidero cogliere il più possibile tutta la verità emotiva e esistenziale di cui la Storia è fatta» – ha dichiarato Alina Marazzi ai critici che applaudivano Vogliamo anche le rose, la sua commistione di indagine sostanzialmente politica ed approccio visivo all’insegna del rispetto del reale – «Fotografie, fotoromanzi, filmini di famiglia, in-chieste e dibattiti televisivi, film indipendenti e sperimentali, riprese militanti e private, pub-blicità, musiche e animazioni d’epoca e originali: la stratificazione visiva e sonora in cui vi-viamo, se fatta rivivere, mi permette di riscrivere la nostra Storia». E se a Torino, a battere le mani, vi era un pubblico di nicchia, coltivato, e un gruppo di meravigliati critici, a Locar-no, ad inizio agosto, vi erano 5000 persone in Piazza Grande, di sera, a seguire a bocca aperta una forma di intrattenimento – il documentario – che in Italia, chissà perché, viene aprioristicamente considerato impopolare, quindi confinato in televisivi terzi-canali RAI e rigorosamente Fuori Orario.
di Gabriele Barrera