47. Karlovy Vary Film Festival. Intervista a Helen Mirren

Eternamente bionda, viso allegro e aperto, inizia l’incontro scusandosi del ritardo. Più passano gli il tempo e maggiore è il tempo che ho bisogno per il mio make up, dice con grande ironia.
Incredibile esperienza e successo nel mondo dello spettacolo con inizi nel teatro classico di migliore qualità e una carriera che la ha portata ad essere una grande sia in televisione che nel cinema, l’attrice anglo russa Helen Mirren nata Elena Vasil’evna Mironova si presenta all’intervista con semplicità: capelli raccolti, un vestito da te con le amiche, pochi accessori apparentemente ‘casual’.
Dice: Ho imparato che, facendo l’attrice da quasi cinquant’anni, devo dare la giusta importanza a tutto ma, soprattutto, recito soltanto quando sono davanti agli attenti occhi del mio regista che mi chiede di interpretare un personaggio per il pubblico.
E’ qui a Karlovy Vary per ricevere il “Crystal Globe Award for Outstanding Artistic Contribution to World Cinema”, un nome lunghissimo per dire premio alla carriera.
Non e’ un po’ stanca di questi premi?
Chiunque dicesse di si non sarebbe credibile. Queste gratificazioni ti permettono di affrontare nuove sfide, nuove ricerche, sopportare eventuali sconfitte. Poi, prima di me, questo premio e’ stato insignito a Milos Forman, Danny De Vito, Jude Law e vari atri artisti che amo. Quindi, felice che si siano ricordati anche di me.
E’ qui anche per parlare de The Door che ha realizzato con il maestro ungherese István Szabó. Ci può dire le sue impressioni?
E’ stata un’interpretazione particolarmente difficile perché non conoscevo quella cultura e la protagonista della vicenda, Emerenc, fino ad ora, non ha avuto una collocazione certa nella storia, non si è ancora definito se fosse eroina della resistenza o collaborazionista dei nazisti. Per questo ho preferito, d’accordo col regista, renderla come donna problematica dai molteplici volti, capace di amare ed odiare parimenti le stesse persone senza trattare direttamente di quei temi. Spero di esserci riuscita ma lo sforzo e’ stato notevole.
Aggiunge il marito il regista americano Taylor Hackford: Da Helen si può ottenere tutto quello che si vuole. E’ una delle poche che non si ferma davanti a nulla, è pronta ad ogni nuova sfida, non teme di essere giudicata negativamente. Se lei crede nel film che sta interpretando, si vota ad esso in maniera completa.
Lei ha sempre spinto perché le donne ottenessero nel mondo maschilista del cinema un loro specifico spazio. Ritiene che ora la situazione sia migliore?
Innanzitutto parlo di me stessa. Spero che questa volta sia la fine della mia prima vita e l’inizio di un altra poiché sono determinata ad averne più di tre, e parlando di vita ma anche di morte devo purtroppo prendere atto che da pochi giorni abbiamo perso una donna estremamente importante per il cinema: Nora Ephron.
Quando ho iniziato, c’erano pochissimi registi e non c’erano donne sul set. Le cose stanno cambiando e negli ultimi cinque anni si è avuto una svolta poiché ora ci sono anche donne elettriciste, giurate, direttori di fotografia e non solo costumiste o scenografe. Quindici anni orsono tutto questo praticamente non esisteva. Ma non è stato fatto ancora abbastanza anche se in questo festival il messaggio è stato colto con intelligenza. Spero che se tornerò tra cinque anni, almeno il 50 per cento dei film presentati saranno diretti da donne. Ma mi piacerebbe che fossero 85 per cento.
Lei ha interpretato personaggi complessi che spesso attraverso la sua bravura hanno acquisito nuova visibilità. E’ stata una scelta o è capitato quasi per caso?
Mi interessa molto il personaggio che dovrò interpretare ma spesso la mia scelta è dettata sulla fiducia assoluta per un regista. Ma, come per ogni attore, le prove impossibili sono quelle che appassionano di più.
Questo è il caso di The Last Station di Michael Hoffman dove ho interpretato Sofia, moglie di scrittore russo Lev Tolstoj. Su questa interpretazione, che mi è valsa una nomination all’Oscar, il lavoro è stato faticoso ma non ho potuto resistere a dare vita ad un personaggio così pieno di emozioni. Era come essere su di un ponte e fare un salto nel fiume senza pensare alle conseguenze. Nel mio ultimo film, Hitchcock attualmente in post-produzione, interpreto Alma Reville, moglie del celebre regista Alfred Hitchcock a cui da vita Anthony Hopkins. Qui credo di avere fatto un buon lavoro, ma sicuramente grande merito è di Anthony e del regista Sacha Gervasi. Mi ha emozionato dare volto e voce ad una persona che ha saputo vivere sempre dietro le quinte.
Ironia della sorte, lei che ha sempre dichiarato di essere antimonarchica, ha vinto il suo Oscar proprio per l’interpretazione della Regina Elisabetta II.
E’ vero, ma non sono un’ingrata. Se non mi avessero offerto quel personaggio ma, soprattutto, se lei non fosse esistita il premio non lo avrei mai vinto. Grazie a chi mi ha voluto in The Queen – La regina.
Per chi non lo ricordasse, la Mirren aveva detto: “Da più di 50 anni Elisabetta mantiene intatte la sua dignità, il suo senso del dovere e la sua pettinatura. Non fosse per lei, certamente io non sarei qui. Signore e signori, a voi la Regina!”. Pronta per affrontare alcune interviste per la televisione, ringrazia per il tempo che le abbiamo dedicato e scappa. Che dire, una lezione di vera classe ringraziare i suoi carnefici.
Per chiudere, un breve commento su The Door che avremmo voluto amare per potere porre domande gradevoli alla grande attrice. Purtroppo è film prolisso, basato unicamente sulla sua bravura, in cui ogni cosa perde valore, dove in pochi minuti l’attenzione scema. Ma lei non ammetterebbe mai che un regista possa avere sbagliato, forse per complicità sentimentale nei confronti del marito…
di Redazione