Pesaro in Super 8

Gianluca Pulsoni firma una panoramica relativa al programma dedicato al Super 8 della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 2024.

«Più il Super 8 (vero o simulato) si sposta al centro, diventa vintage, integrato in spot, celebrato in festival del cinema sempre meno interessati e attenti alla sua vocazione tellurica e di trasformazione (umana e) sociale, più bisogna difenderne la storia, la sua appartenenza a forme di cinema marginali ed extra-industriali, a una minoranza di filmmaker e artisti che ne ha fatto per necessità lo strumento specifico di rappresentazione della propria vita, della propria esistenza, del proprio punto di vista sul mondo.» A parlare qui sono Karianne Fiorini e Gianmarco Torri, curatori del programma dedicato al Super 8 della Mostra del cinema di Pesaro di quest’anno, una sezione della rassegna che curano da alcuni anni ormai. Vale la pena cominciare con le loro parole – si tratta dell’inizio del loro testo per il catalogo della Mostra – per soffermarsi su come, oggi, un programma dedicato al Super 8 possa offrire la possibilità di ripensare il nostro rapporto con le immagini in movimento.

A questo proposito, un primo spunto di riflessione non può che provenire dall’incontro con i filmmaker che, del Super 8, hanno fatto la materia della propria opera artistica. Quest’anno, Fiorini e Torri hanno invitato a Pesaro l’olandese Jaap Pieters per fargli mostrare una selezione della sua opera.  

Ma chi è Pieters? Dal sito della Lightcone, che distribuisce alcuni suoi film, si possono leggere alcune informazioni essenziali. Artista olandese classe 1955, ribattezzato “l’occhio di Amsterdam”, Pieters ha cominciato a fare film in Super 8 nel 1985, concentrandosi principalmente su soggetti urbani, fra cui si ritrovano spesso spazi particolari, mezzi di trasporto, passanti, determinati soggetti umani. In molti casi, si tratta di film della durata di una sola bobina (tre minuti e venti secondi). Se si vuole, una “costrizione” dettata dalla necessità ma che si è via via rivelata uno stimolo a sviluppare un modo preciso di vedere le cose e quindi di considerare l’immagine.

Nel catalogo della Mostra di Pesaro di quest’anno si trova un testo dello stesso filmmaker olandese che delinea bene questo suo approccio alla visione cinematografica. «Per me l’essenza del cinema (o del filmare) è VEDERE in senso passivo» scrive Pieters, che poi continua in questo modo: «la mia strategia è di essere “passivo” o “neutro” & VEDERE che cosa mi viene incontro & stare in allerta su ciò che mi com-muove & dovrei decidere solo a questo livello intuitivo se “filmare o non filmare” (vivere o non vivere) ad esclusione della Ragione o della Logica (& sigillare completamente quella parte del cervello) a livello “dell’avere senso” o “dare significato” o “avere uno scopo”, o tutti quegli elementi che gestiscono questa società (capitalistica).» Ma tutto questo, alla fine, per Pieters, è possibile perché «NON CI SONO CONCETTI! Che si tratti di durata (una bobina) o di montaggio o di luce: ci sono solo gli strumenti dati.»

L’incontro del 19 giugno al Teatro Sperimentale (Sala Pasolini), a conclusione del programma sul Super 8 a cura di Fiorini e Torri, è stato sicuramente utile a saggiare gli intendimenti sul cinema di Pieters, perché in quell’occasione il filmmaker olandese ha presentato un programma di suoi film, introducendoli a uno a uno e includendo alcuni di questi anche in una versione “gonfiata” in 35 mm. Fra questi, il film che forse ci ha lasciato il segno più duraturo è De Kopjesdans (1994), in cui l’occhio del filmmaker olandese ci inchioda a un gruppo di tazzine su un tavolino. Sono tazzine bianche, anonime, pulite, una sull’altra e che si muovono vibrando come soggette al passaggio di una qualche forza. All’inizio, si osserva tutto questo con un po’ di scetticismo. Poi però, vuoi per il sonoro delle tazzine, vuoi per la fissità dell’inquadratura, si è còlti da una strana sensazione, e si può pensare di assistere davvero al compiersi di una strana performance, in cui ritrovare tanto elementi euforici – le tazzine “danzano” – quanto tragici – le tazzine “tremano”.

Oltre all’omaggio a Pieters, il programma a cura di Fiorini e Torri ha visto anche, come di prassi, la presenza di un breve workshop, intenso e informale, in cui i partecipanti sono stati invitati a girare e sviluppare un film collettivo in Super 8, mostrato poi prima dei film del filmmaker olandese. A guidare il gruppo ci sono stati Pieters, che con la sua “lezione” ha sicuramente influenzato la scelta dei soggetti da riprendere e lo sguardo dei partecipanti, e Livio Colombo, fondamentale per spiegare come si utilizza una cinepresa e soprattutto fondamentale per la parte dello sviluppo delle pellicole. Superottista da anni, Colombo, oltre a fare film, si dedica proprio ad attività laboratoriali legate al Super 8. A Pesaro si è anche avuto modo di vedere alcuni suoi lavori. Fra questi, merita sicuramente una segnalazione Un’invenzione a due luci (2017), bel film in Super 8 – e con due proiettori – che esemplifica, in modo elegante, una idea non banale di paesaggio visivo. Grazie ai consigli di Colombo, i partecipanti al workshop sono riusciti a creare immagini interessanti per il loro film, ma soprattutto hanno avuto un’introduzione efficace ai fondamentali tecnici dell’uso del mezzo. Quanto a noi semplici spettatori, invece, si può dire che il workshop sul Super 8 di questa edizione della Mostra di Pesaro ci lascia un possibile secondo spunto di riflessione. Se, con Pieters, si ha il caso di un filmmaker che ci mostra come il rapporto con le immagini in movimento, grazie al Super 8, possa essere un rapporto radicalmente esistenziale, fuori dai meccanismi commerciali, il workshop pesarese ci dice che esistono ancora persone che cercano una dimensione materiale nelle immagini in movimento. Si tratta di un sentimento che va preservato e coltivato, anche a vantaggio di coloro che fanno cinema narrativo-commerciale-industriale oggi, che dal Super 8 – da chi lo pratica come arte o come pura passione – possono imparare una cura per il dettaglio che può aiutare a togliere quel senso di sciatteria che spesso si trova in messe in scene e storie in cui la visione è considerata come un optional. In fondo, il cinema in Super 8 ci ricorda una cosa fondamentale: che ogni immagine è forma e sostanza


di Gianluca Pulsoni
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