Luca Ferri alla 21esima edizione di Corto Dorico
Gianluca Pulsoni approfondisce il profilo di Luca Ferri.
È molto bello che l’edizione di quest’anno di Corto Dorico dedichi il Premio Speciale Cinema di Poesia a un autore come Luca Ferri, offrendo l’occasione – a chi non ne conosce l’opera – di poter guardare una buona selezione di suoi cortometraggi. Si va dall’ultimo lavoro, René va alla guerra (2024), co-diretto con Morgan Menegazzo e Mariachiara Pernisa (già presentato a Venezia), a Perduto Paradiso in due rulli (2023), co-diretto sempre con Menegazzo e Pernisa, e poi a opere come Mille cipressi (2021), Sì (2020), Colombi (2016), Caro nonno (2014).
Perché è bello che si omaggi il cinema di Luca Ferri? Perché nel panorama stantio italiano contemporaneo, in quell’area che per comodità di vulgata si definisce come cinema d’autore – o comunque cinema non commerciale, non prono a svendersi per due soldi – quanto fatto da Ferri finora può risultare sorprendente utile come esempio per altri e altre, in termini di ricerca e di esiti.
Innanzitutto la ricerca. I corti di Ferri presentano una elaborazione personale di temi alti, messi in una forma cinematografica di cui si possono riconoscere certi echi – documentarismo in una certa campionatura di immagini; saggismo nell’uso della voce fuori campo – ma che, nel complesso, è una forma sempre distorta. Nello stesso tempo però, non è nemmeno possibile ricondurre questa distorsione a una scelta simbolica, magari “brechtiana”, perché l’effetto di straniamento che emerge è spesso un effetto che, per così dire, non riduce la realtà a testo.
Detto in altri termini: Ferri è un autore intellettuale ma non intellettualistico. Di conseguenza, non tende a far entrare, nei suoi film, temi che non abbiano una concatenazione materiale e sensoriale con le immagini e i suoni da lui considerati. E in un’epoca come la nostra, in cui tutti pensano di poter dire qualsiasi qualcosa – magari con una bella storia, un’ottima recitazione, e una intrigante messa in scena –, ma senza più fare i conti con le problematicità insite nell’atto stesso di rappresentare qualcosa, Ferri ci ricorda che fare cinema può ancora essere un esercizio creativamente critico.
Ci sono poi gli esiti da considerare. I film in programma a Corto Dorico sono tutte opere realizzate con pochi mezzi, ma esteticamente esemplari. Si veda per esempio Mille cipressi, film in cui Ferri riesce a catturare l’aura del soggetto che tratta – un capolavoro dell’architettura del secolo scorso come la Tomba Brion di Carlo Scarpa – attraverso una scelta semplice e geniale, quella cioè di presentare il complesso monumentale in questione in immagini che funzionano non tanto come documentazione dell’opera quanto come un “ricamo” al testo di Scarpa che si sente nel film. Inoltre, val la pena sottolineare come, nel caso di Luca Ferri, si abbia a che fare con corti che sono dei lavori compiuti, cioè che mostrano come, nella misura breve, sia possibile raggiungere una profondità simile a quella che si può avere nel lungometraggio.
di Gianluca Pulsoni