Intervista a Matteo Burani, regista di Playing God

Intervista a Matteo Burani, regista del cortometraggio Playing God presentato alla Settimana della Critica 2024.

Nella competizione della Sic dedicata ai cortometraggi troviamo un film curioso e originale, distribuito da Sayonara Film, Playing God di Matteo Burani (1991), dove l’argilla prende forma grazie alle mani di un creatore, una sorta di deus ex machina che plasma omini che in qualche modo si ribellano alla staticità dell’argilla per ricercare il movimento e la libertà, un film inquietante e di grande fascino.

Incontriamo il regista, Matteo Burani, che è anche artista e scultore ed è tra i fondatori dell’importante Studio Croma, uno dei pochi studi in Italia che lavora sull’animazione in stop motion e non solo.

In questo corto attraverso l’argilla ti sei divertito, come dice il titolo, a giocare come se fossi Dio, mettendo in scena anche le mani del creatore, come nasce l’idea del film?
L’idea di Playing God nasce dal mio profondo legame con l’arte classica e dalla mia passione per il cinema, in particolare per il genere horror e body horror. Da pittore e scultore realista, sono sempre stato affascinato dal processo di creazione artistica, dall’atto di dare vita a qualcosa di inanimato: Il corto esplora proprio questo concetto. Nel film, l’argilla diventa il simbolo della materia grezza che prende forma tra le mani dello Scultore, ma anche della fragilità e dell’imperfezione intrinseca in ogni creazione. L’idea di mettere in scena le mani del creatore è nata proprio dalla volontà di rendere visibile il processo, di far percepire al pubblico l’atto di plasmare la materia come un gesto quasi sacro, ma allo stesso tempo profondamente umano. L’ispirazione è venuta anche da registi come David Cronenberg che hanno saputo esplorare in maniera potente i temi della trasformazione del corpo. Il risultato è un dark Pinocchio, una storia che indaga la creazione e il rifiuto, la vita e la morte, in un contesto visivamente crudo e materico.

Metti in scena la creazione e il desiderio da parte del soggetto creato di allontanarsi da “Dio”?
In Playing God, Dio in senso tradizionale non c’entra. Non si tratta di una creatura che si allontana volontariamente da Dio, anzi, la creatura vorrebbe restare vicina al suo creatore. Il punto centrale è che il “Dio” del film è un artista umano, uno scultore accecato dalla sua ossessione per la perfezione. È lui che, perso nella sua ricerca incessante, abbandona ciò che ha creato, non riuscendo a vedere il valore nella sua opera. La scultura, simbolo del creato, non cerca l’indipendenza o l’allontanamento, ma desidera ardentemente rimanere con il suo creatore, trovare uno scopo in quella relazione. Il vero dramma nasce quando il creatore, simile a un sistema in cui chi crea si disconnette dalle proprie creazioni, decide che essa non è abbastanza e la rigetta. Questo abbandono è molto più simile a ciò che accade nello star system, dove il ciclo di creazione e rifiuto diventa parte integrante di un sistema più grande e spesso disumanizzante.

Molto suggestivi e inquietanti coloro che assistono alla creazione, cosa rappresentano per te?
Coloro che assistono alla creazione, queste sculture deformi che popolano l’atelier, rappresentano una sorta di pubblico inesorabile e testimone perpetuo del fallimento e della disillusione. Sono il prodotto delle stesse mani che ora danno vita alla nuova creatura, ma che sono state abbandonate e rifiutate. Per me, queste figure incarnano la ciclicità dell’imperfezione e del rifiuto, un eco di tutti i tentativi passati che non hanno raggiunto la perfezione tanto agognata dallo Scultore. Sono una presenza inquietante perché, pur essendo inanimate, trasmettono un senso di giudizio, di attesa silenziosa, quasi fossero un memento mori per il creatore stesso. Rappresentano l’accumulo di errori e fallimenti, ma anche una sorta di comunità solidale di creature imperfette che, sebbene rinnegate, condividono un destino comune.

Sei tra i fondatori dello Studio Croma, uno dei pochi studi italiani che affronta animazione e non solo, ci vuoi dire qualcosa di più sulla tua società?
Studio Croma è nato dalla volontà di creare un luogo dove l’arte dell’animazione potesse esprimersi senza compromessi, esplorando non solo tecniche tradizionali, ma anche sperimentando nuovi linguaggi visivi e narrativi. In Italia il mondo dell’animazione è spesso visto come un settore di nicchia, ma noi ci siamo posti l’obiettivo di sfidare questa percezione, portando avanti progetti che spaziano dal cinema d’autore alla pubblicità, cercando sempre di mantenere una forte identità creativa. Ogni progetto che intraprendiamo è un’opportunità per sperimentare, crescere e spingere i limiti di ciò che l’animazione può rappresentare. Siamo orgogliosi di essere tra i pochi studi italiani che affrontano l’animazione con una visione così ampia, e il nostro obiettivo è continuare a evolverci e a contribuire alla crescita di questo settore in Italia ed a livello internazionale.


di Anna Di Martino
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