Don’t Cry, Butterfly
La recensione di Don't Cry, Butterfly, di Duong Dieu Linh, a cura di Elisa Baldini.
Quello che colpisce nell’esordio nel lungometraggio della vietnamita Duong Dieu Linh è la commistione armonica di elementi del mélo e del drama con spunti di sapida ed intelligente ironia. Il risultato è un incantesimo lucido, dove i satelliti di una piccola famiglia si osservano dalle inferriate/sbarre di appartamenti alveare, tenuti insieme da scale labirintiche che hanno come unico trampolino di lancio verso l’infinito i tetti del palazzo. È lì che spesso si incontrano e fantasticano un futuro altrove i giovanissimi Ha e Trong, l’una soffocata dalla dedizione di una madre che sopporta e governa (inteso nel senso di avere cura, non comandare), l’altro oppresso e annichilito dall’assenza di una madre che se n’è andata per inseguire la libertà.
Ed è proprio della tensione impotente e un po’ goffa verso una fuga dai tratti confusi che si nutre Don’t Cry, Butterfly, un’orizzonte che appare reale solo nei tutorial diffusi sui social su come tenersi il marito anche se si invecchia, tramite una app di meditazione che permette di visualizzare prati fioriti e farfalle, nel cielo stellato che fa da sfondo ad un acquario dove i pesci muoiono uno dopo l’altro. Del resto anche le rivelazioni arrivano da input virtuali: Tam scopre il tradimento del marito tramite lo screenshot di una diretta TV.
Ma è comunque una donna cresciuta quando internet ancora non c’era, e per risolvere la questione si affida ai rimedi tradizionali: truffe alla Wanna Marchi, i consigli delle amiche, antichi rituali, e soprattutto, mai affrontare direttamente il coniuge, corpo muto dalla fissità quasi comica, che si aggira per la casa come un appesantito Buster Keaton in slow motion. Egli, come gli altri uomini nel film, è naturalmente incapace di vedere il mostro, metaforizzato da una chiazza di umido che si allarga inesorabile in camera da letto.
In un Vietnam dove molte donne della generazione di Tam ancora non si possono permettere una crisi di nervi come si deve, Duong Dieu Linh tratteggia un composto, buffo, dolce e brutale balletto tra anime che non si toccano da secoli. Se non per generare altri mostri.
di Elisa Baldini