Il bisogno primario di cinema di qualità
Nel cuore della crisi provocata dall'incedere della pandemia il cinema ha dimostrato di essere ancora nonostante tutto terreno di dibattito. Lo ha confermato anche la discussione fertile sorta attorno all'utilizzo delle nuove tecnologie, e in particolar modo delle piattaforme.

Sto seguendo con grande attenzione il dibattito innescato su Cinecriticaweb a partire dall’intervento di Franco Montini, così come tutte le diverse posizioni espresse nel mondo del cinema in questi mesi dalle varie parti in causa: autori, produttori, esercenti, distributori e naturalmente critici. Stare a casa in lockdown è stato, in questo senso, come essere affacciati a un balcone “virtuale” con più tempo del solito a disposizione, per assistere al confronto delle idee che si svolgeva sui social e sulle riviste di cinema, che hanno continuato a lavorare incessantemente pubblicando articoli e contributi. È un primo punto molto importante: il dibattito non si è mai fermato, neppure nelle ore più drammatiche, a conferma che il cinema continua a muovere passioni ed emozioni, a rappresentare il terreno di una fertile battaglia delle idee. È una circostanza incoraggiante, la traccia per trasformare una crisi in opportunità. Come positivo è osservare quanto l’audiovisivo, nelle sue molteplici forme, abbia accompagnato uomini e donne, e ovviamente bambini, costretti a stare in casa e tagliati fuori dalle interazioni consuete. Abbiamo più che mai bisogno di immagini di qualità, non le immagini irriflesse e a getto continuo che arrivano dalle televisioni, dove pubblicità e contenuti, talk show e telegiornali si mescolano a casaccio. Le immagini a cui penso sono frutto del pensiero creativo degli autori e delle autrici, di una politica culturale e di una visione della società e del mondo, spesso in netto contrasto con quel brodo consumistico e nevrotico in cui si vorrebbero immergere i consumatori e gli elettori. Di queste immagini di qualità, le nuove piattaforme, interessate a diversificarsi e accreditarsi come “altro” rispetto alla tv generalista, si sono dimostrate sempre più affamate, non solo durante il coronavirus ma già da qualche anno a questa parte. Se ne avvantaggia la nuova serialità, sempre più affascinante e amata dagli appassionati di cinema, ma se ne giovano anche i grandi registi finanziati da Amazon e Netflix (l’hanno testimoniato opere come Roma o The Irishman, e il veto del Festival di Cannes contro le opere non prodotte per la sala appare alla distanza sempre più anacronistico).
Mentre cinema, teatri e altri luoghi della cultura erano purtroppo costretti a restare chiusi – e temo che la riapertura non sarà così agevole almeno a giudicare dalle reazioni degli esercenti al recente Dpcm che consentirebbe di tornare in attività da metà giugno ma con una complicata serie di regole di sicurezza – non solo i cinefili e gli addetti ai lavori ma anche altri pubblici (si spera inediti) hanno avuto se non altro la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo, di imprevisto, di inusitato, trascorrendo cinque ore al giorno in media davanti agli schermi dei vari device. Penso ad esempio alla scelta di distribuire VOD Favolaccedei Fratelli D’Innocenzo, nonostante il dispiacere di non vedere questo film importante sul grande schermo, la sua distribuzione in questa forma ha subito avviato sui social un interessante dibattito tra gli spettatori, ha diviso, stimolato e appassionato quanto una visione al cinema. È chiaro che tutto il comparto è in grave sofferenza, è stato detto prima e meglio di me dagli altri interventi, ma forse proprio da questo “bisogno primario” di cinema di qualità potremmo e potremo ripartire – perché è certo che ripartiremo – con la consapevolezza che il coronavirus avrà funzionato, e non solo nel settore cinematografico ma in ogni comparto e attività economica del paese, come un catalizzatore di fenomeni già in atto, a volte semplificando e ridimensionando, altre volte aprendo nuove prospettive. Ecco perché bisogna essere protagonisti di questi cambiamenti e non subirli passivamente, ecco perché è importante vigilare e prefigurare scenari possibili. Anche per restituire al lavoro culturale – troppo spesso sfruttato, sottopagato e già al limite della sopravvivenza ben prima del coronavirus – il suo contenuto di valore anche economico. In questo senso sono centrali le battaglie a livello europeo per il diritto d’autore e ancor più in una prospettiva globale sarebbe prioritaria la tassazione dei proventi degli OTT.
Nessuno dovrà mettere in discussione la centralità della sala o l’importanza dei festival, anche su questo bisogna vigilare. E tuttavia alcuni fenomeni di ridefinizione del sistema distributivo oppure della forma-festival erano già presenti in nuce negli scenari precedenti alla pandemia. Penso ad esempio all’eccesso di offerta di film destinati alla sala, con uscite in alcune settimane anche di 15/ 16 titoli in contemporanea che finiva inevitabilmente per penalizzare, anzi azzerare, i più deboli, magari meritevoli di grande attenzione, magari segnalati dalla critica o vincitori di premi, ma fagocitati da un sistema che aveva raggiunto i limiti massimi di assorbimento di prodotto. In questo senso il sistema delle piattaforme, specie se integrate con le sale grazie anche alla geolocalizzazione (penso ad esempio al tentativo in corso con MioCinema, ma anche a esperimenti portati avanti da vari distributori indipendenti) potrebbe rivelarsi estremamente positivo per consentire una visione anche a chi non vive nelle grandi città e non ha disposizione sale che offrono una programmazione alternativa, oppure per mantenere un tenitura a lungo o ancora per proporre cicli tematici funzionando come un cinema d’essai 2.0.
Stesso discorso, con le dovute differenze, per i festival che potranno utilmente affiancare alla forma “fisica”, così essenziale per permettere gli scambi tra gli autori e l’incontro con il pubblico e con la critica, una serie di iniziative virtuali raggiungendo anche in questo caso persone lontane geograficamente o impossibilitate ad affrontare il viaggio per motivi di budget o di tempo. Quando si oppone l’obiezione che non siamo attrezzati tecnologicamente o mentalmente per questi cambiamenti, si dimentica proprio il valore di sperimentazione di nuovi stili di fruizione rappresentato da questi terribili mesi di reclusione: c’è chi si è dotato per la prima volta, volente o nolente, di una connessione veloce o ha cominciato a usare le varie piattaforme da quelle più sofisticate alle più basiche. Sarà poi compito dei governi, di nuovo anche a livello europeo, permettere a tutti la fruizione della rete e democratizzare gli strumenti tecnologici. Nell’interesse degli spettatori e degli autori del futuro e per rispondere a quel bisogno primario di cinema di qualità.
di Cristiana Paternò