Il cinema che verrà

L'editoriale di Franco Montini, Presidente del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici Italiani, dedicato alle ipotesi da mettere in campo per il futuro del cinema.

Quando sarà possibile riaprire i cinema al momento è impossibile prevederlo con esattezza. Una cosa è certa: le sale di spettacolo sono luoghi di aggregazione e, fatalmente, dopo essere stati i primi esercizi pubblici a dover chiudere, saranno anche gli ultimi a riprendere l’attività. Insomma il rientro in sala è tutt’altro che imminente e una regolare programmazione, potrà ricominciare, presumibilmente, solo dopo l’estate. A causa della lunga, forzata interruzione, diventa necessario che gli enti pubblici, Ministero dei Beni Culturali, Regioni e Comuni si impegnino a sostenere l’esercizio, mettendo a disposizione risorse straordinarie e cancellando una serie di imposte, a cominciare da IMU e TARI, che i gestori delle sale non sono grado di pagare, essendosi completamente azzerati gli introiti. In mancanza di interventi di questo tipo, il rischio, molto concreto, è la decimazione dell’esercizio cinematografico nel nostro paese.

Ma i problemi non sono esclusivamente economici: le conseguenze socio/antropologiche della lunga chiusura si prestano a svariate ipotesi. Da una parte non c’è dubbio che esista, almeno nello zoccolo duro del pubblico più affezionato e cinefilo, un naturale desiderio di grande schermo e si può pensare che, appena sarà possibile, gli spettatori torneranno nei cinema. Ma, la cancellazione dell’abitudine alla frequentazione della sala potrebbe aver provocato anche disaffezione e abbandono, come testimonia in tempi “normali” l’avvio della ripresa autunnale dopo le vacanze estive: sempre difficile e farraginoso. Nel caso specifico ci sarà da aggiungere la necessità di superare una naturale paura e ritrosia a tornare rapidamente in luoghi chiusi e molto frequentati.

Proprio per questa ragione, appare del tutto condivisibile la scelta della maggioranza degli esercenti contrari a riaprire i cinema essendo sottoposti a particolari regolamentazioni nella distanza fra spettatori. In altre parole, consentire l’accesso in sala in percentuali limitate di posti, con sanificazione obbligatoria dopo ogni spettacolo e misure di sicurezza per il personale, oltre a essere penalizzante sotto il profilo economico, comunicherebbe un messaggio di pericolo che finirebbe per preoccupare e scoraggiare ulteriormente il pubblico.

In queste settimane, nell’assoluta incertezza sulla tempistica della riapertura delle sale si sono prospettate tutta una serie di possibili soluzioni alternative, a cominciare dall’uscita di film direttamente sulle piattaforme, giustificata anche dal desiderio di evitare un sovraffollamento di offerta in sala, con conseguente penalizzazione delle proposte commercialmente meno attraenti, ovvero cinema italiano e cinema d’autore, quando si potrà tornare a frequentare il grande schermo. Si tratta di un pericolo aleatorio, perché in questi mesi non si è fermato solo l’esercizio, ma tutta la filiera, produzioni comprese. Pertanto una serie di film che si sarebbero dovuti girare fra marzo e maggio sono stati anch’essi rimandati sine die e le relative uscite, inizialmente previste per l’autunno/inverno 2020-21, fatalmente dovranno slittare perché i film in questione non saranno disponibili per le date precedentemente stabilite. Quindi nei mesi a venire, più che un eccesso di offerta, si può realisticamente ipotizzare un complessivo slittamento di tutte le uscite. E non è un caso che a parte qualche saltuaria proposta in rete, legata a film non di evidente richiamo commerciale e artistico, i titoli più attesi, sia italiani che stranieri che sarebbero dovuti uscire in primavera, siano stati tutti rimandati a data da destinarsi per essere proposti in prima battuta in sala.

Anche pensare di affidare la ripresa della stagione puntando sul drive-in è una stralunata e romantica ipotesi che appartiene al regno della fantasia. Come si può ragionevolmente pensare di poter consentire un adeguato sfruttamento del prodotto nuovo con, nella migliore delle ipotesi, qualche centinaia di drive-in in sostituzione delle migliaia di schermi dell’attuale mercato nazionale? I drive-in, che consentono esclusivamente una programmazione serale, possono semplicemente sostituirsi alle arene delle nostre recenti estati: un circuito dove riproporre i film distribuiti nell’ultima, interrotta stagione cinematografica o programmare la proiezione di curiosità, chicche da cineteca, edizioni speciali. Al limite, come per altro stanno pensando il Cinema Ritrovato di Bologna e la Mostra di Pesaro, i drive-in potranno ospitare qualche festival, costretto, proprio malgrado, a rimandare le tradizionali date di svolgimento.

Per non deludere le aspettative e riaffezionare il pubblico al consumo di cinema sul grande schermo, sarà importante ripartire alla grande con un’offerta ricca di titoli, possibilmente accompagnata da una efficace campagna promozionale (è curioso che un’industria audiovisiva come il cinema sia da sempre molto carente sotto questo aspetto) e da agevolazioni economiche per il pubblico, sul modello delle feste del cinema organizzate all’estero.

Tutt’altro che secondario, è l’aspetto contenutistico: la pandemia Covis-19 non solo ha mutato radicalmente il nostro stile di vita in questi mesi, ma prevedibilmente cambierà anche il nostro vivere futuro: nel lavoro, nei rapporti sociali e personali ed anche nel nostro rapporto con il cinema. In altre parole: sceglieremo di vedere al cinema gli stessi film fino a ieri preferiti? Saremo alla ricerca delle stesse modalità di narrazione e di linguaggio? È molto improbabile: i grandi mutamenti storici hanno sempre determinato degli scarti e delle novità anche nel cinema e lo stesso avverrà terminata l’emergenza Corona Virus, quando ci sarà voglia di divertimento, di spettacolo, ma soprattutto di qualità. Benché su altri mezzi – televisione, piattaforme, rete – in questi mesi l’offerta audiovisiva a disposizione di larghe fasce di spettatori è stata particolarmente varia e rilevante ed ha permesso di scoprire nuovi linguaggi, nuovi volti, nuove proposte, raffinando il gusto e favorendo la nascita di inedite richieste. L’industria cinematografica nazionale ed internazionale non può non tenerne conto e la domanda che è necessario ed inevitabile porsi è: che cinema verrà? La lunga clausura ha cambiato il rapporto fra il consumo sociale e il consumo domestico? Le normative relative alle windows dovranno tenerne conto? Cosa, in termini di proposte, gli spettatori chiederanno alle sale? Come ci relazioneremo con i vicini di poltrona, ovvero come cambierà, se cambierà, l’esperienza sociale della sala buia? Appare inevitabile che, anche se proposti con leggerezza, i contenuti cinematografici dovranno essere più profondi e riflessivi e soprattutto sorprendenti.

La pandemia ha rappresentato qualcosa di imprevedibile, cancellando certezze, progetti, ipotesi di futuro e questa nuova, comune dimensione esistenziale nel segno della precarietà dovrà riflettersi anche nei film. Sono necessari nuovi contenuti e nuovi linguaggi, ma il pericolo è un’ulteriore omologazione delle proposte. Infatti la storia insegna che, nella maggioranza dei casi, le novità nascono e vengono proposte dalle piccole produzioni indipendenti, proprio quelle maggiormente a rischio in questo periodo di crisi finanziaria. Per questo tipo di aziende la situazione è per molti versi paradossale: teoricamente esisterebbero maggiori opportunità, perché il pubblico sarà più aperto e disponibile nei confronti di film originali e inconsueti, ma concretamente sono aumentate le difficoltà produttive. È uno dei tanti nodi da risolvere rapidamente, cercando di individuare un percorso per il cinema che verrà. Sarebbe quanto mai utile e interessante raccogliere in proposito idee e proposte anche dai critici.


di Franco Montini
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