Sulla terra leggeri

La recensione di Sulla terra leggeri, di Sara Fgaier, a cura di Francesco Di Pace.

Ricostruire la propria vita, i percorsi della propria mappa sentimentale, attraverso la rielaborazione di un lutto così doloroso da provocare un’amnesia selettiva: le pagine dei diari, le fotografie, i biglietti lasciati come oggetti testimoni di un impegno preso e, ove si rendessero necessari, i “repertori” di altre vite vissute che ci riportino alla nostra, a quello che siamo stati o avremmo potuto essere.

Nel prezioso film di Sara Fgaier c’è tutto questo, come inevitabile approdo in un’opera prima di finzione dopo il sodalizio, personale e artistico come nelle più felici delle combinazioni di affinità elettive, con Pietro Marcello, con cui aveva collaborato come montatrice e ricercatrice di repertorio fin dai tempi de La bocca del lupo, al cui cinema questo film allude, ci mancherebbe, ma prendendo una strada verso un percorso molto personale che lo rende oggetto anche unico.

Fgaier racconta una storia d’amore e l’incapacità momentanea di riconoscerla e persino di ricordarla, e lo fa attraverso la messa in scena della progressiva guarigione di Gian, sessantenne professore di etnomusicologia (lo interpreta Andrea Renzi, un volto e un corpo “martoniano” che ci piacerebbe vedere più spesso passare dal teatro al cinema) che, all’indomani della morte della moglie, non ricorda più i dettagli più personali della propria storia sentimentale: non riconosce neanche la figlia Miriam (Sara Serraiocco) che allora per aiutarlo gli affida i diari che lui stesso aveva scritto nel corso della sua gioventù: attraverso questi, e la loro prosa letteraria ma mai affettata, noi spettatori ricostruiamo pian piano con lui l’incontro fatale con Leila, avvenuto quarant’anni prima al mare con relativa promessa d’amore e di un appuntamento in Tunisia dopo cinque mesi, dove però lei (forse gravata da un rapporto sentimentale non ancora risolto) non si era all’inizio presentata.

La messa in scena procede affascinante, avvalendosi della magnifica fotografia di Alberto Fasulo e delle musiche di Carlo Crivelli e con l’intreccio previsto (per la consuetudine con questo tipo di linguaggio nei lavori precedenti di Fgaier) con materiali di repertorio che mescolano filmini privati (che sono le vite diverse che sarebbero potute essere, ma anche le immedesimazioni dello spettatore con altrettante vite universali) e archivio. Renzi si aggira in questo percorso di ricognizione come lo spettatore nel film, ipnoticamente spaesato ma nello stesso tempo sempre più reattivo: Sulla terra leggeri (che allude alla leggerezza del volo e alla caduta da un altezza anche metaforica, come nel libro di Julian Barnes Livelli di vita citato come fonte di ispirazione del film), già in Concorso a Locarno e in giro per festival europei prima della sua uscita in sala di questi giorni, è un raffinato ma caldo film sulla memoria e sul tradimento, sul rimpianto ma anche sull’accettazione di quello che si è stati, sulla perdita di un amore e sulla lotta per sconfiggere l’oblio.


di Francesco Di Pace
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