Il pianto degli eroi. L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate
La recensione di Il pianto degli eroi, di Francesca Lolli e Bruno Bigoni, a cura di Andrea Caramanna.
Francesca Lolli e Bruno Bigoni ricorrono a un titolo che non è solo la traccia di un esperimento, ma il resoconto “smitizzato” di una realtà che è profondamente dolorosa per uomini e donne.
Uomini e donne, perché legati a due ordini di destini.
Lo vediamo bene nel film perché nella storia umana, che si ripete, gli uomini fanno la guerra, ma le donne in modo inevitabile ne fanno parte: sia come pretesto inesistente, sia come oggetti da violentare.
Per questo l’epilogo vede le donne protagoniste, tirare le fila della tragedia che si è appena consumata…
In questa forma di teatro cinema, si potrebbe dire che vince il cinema come immagine, mentre uno spettacolo dal vivo sarebbe stato ancora più interessante.
Ma Lolli e Bigoni utilizzano tutti gli strumenti cinematografici per elevare con potenza ogni singola immagine, dal bianco e nero con alcuni colori separati, al montaggio sui primi e primissimi piani dei volti, alla scena di una camera del vento.
L’inizio, con le presentazioni dei vari protagonisti davanti a un ciak, serve proprio ad amplificare la vertigine del cinema in grado di trasformare dal set in poi qualsiasi corpo in personaggio, mito.
Così vediamo in pochi minuti crescere una rappresentazione di eroi arcinoti come Achille, Ettore, Patroclo, Menelao, Agamennone, Ulisse, attraverso i corpi di questi detenuti che trasmettono immediatamente alla macchina da presa tutta la loro “guerra interiore”.
Dice, infatti, uno di loro che in fondo sono sempre in guerra, chiusi nel carcere, se non è questa una lotta continua per la sopravvivenza di ogni istante…
E ancora, ci sono due tipi di guerra: una necessaria ed è quella più sopportabile, l’altra è invece una finzione ed è quest’ultima una vera tragedia.
L’Iliade in fondo rappresenta sia l’una che l’altra guerra, ma soprattutto, l’uomo che si ritrova in un luogo di morte, che è la conclusione scontata di ogni conflitto sanguinoso, in ogni schieramento…
La forza delle immagini è amplificata dall’uso delle varie lingue. Importantissima la scelta di lasciare che ogni interprete parli con il suo intimo idioma, e così passiamo dallo spagnolo, all’arabo, al siciliano, al milanese, al napoletano, ma tutti con la stessa incredibile intensità. Alla fine la vera guerra sta nelle immagini del carcere, nelle celle, in cui si muovono questi corpi, forse anche loro, come nella rappresentazione, increduli della realtà che stanno vivendo e del perché, esattamente come gli eroi di Omero
di Andrea Caramanna