Sotto la sabbia
“Sto tra due mondi, in nessuno di essi sono a casa…”: la frase che Tonio Kroger, protagonista dell’omonimo racconto di Thomas Mann, pronuncia per esprimere il suo smarrimento di borghese, si adatta, per altri versi, perfettamente alla condizione esistenziale della figura femminile di Sotto la sabbia .
Anche Marie è, infatti, in bilico tra due realtà, sospesa in una sorta di limbo dal quale non può, o non vuole, uscire.
Come gli immortali personaggi dei più grandi romanzi del Novecento, Marie deve scegliere tra principio di piacere e principio di realtà, tra la negazione della morte della persona amata e del dolore atroce che essa comporta, e il riaprirsi, nonostante la perdita, alla vita e alle emozioni. Il tema di fondo della pellicola di François Ozon è, allora, lo stesso di La stanza del figlio di Nanni Moretti: l’elaborazione del lutto, l’accettazione di una sofferenza indicibile. Con una differenza fondamentale: se Moretti presenta la morte in tutta la sua evidenza e violenza devastante, Ozon decide, invece, di filmare l’altra faccia della medaglia, ossia il baratro interiore e il gelo, conseguenti alla forzata separazione.
In questo senso, l’esperienza di Marie non è, poi, così diversa da quella del personaggio femminile al centro di ROMANCE, film del 1998 della regista Catherine Breillat.
In entrambi i casi, l’amore è per le sventurate protagoniste non qualcosa di cui l’Io dispone ma qualcosa che dispone dell’Io, che lo incrina, che lo apre alla crisi.
In un contesto del genere, la lucidità è bandita e l’Io resta vittima di una frattura insanabile. Come in Giulia e Giulia di Peter Del Monte, un’altra donna crede di vivere con il marito morto e con il figlio mai nato e, contemporaneamente, gestisce una storia erotica con uno sconosciuto, così Marie non riesce ad uscire dalla sua doppia esistenza e a staccarsi definitivamente dal fantasma di Jean.
L’angoscia che accomuna le tre “eroine” deriva dalla tensione che si stabilisce tra il desiderio dell’uno e la necessità del molteplice: per vivere è necessario distinguere, dentro e fuori di sé, mentre rimane, comunque, l’attrazione verso l’indistinto, quel sentimento oceanico per cui si vorrebbe essere tutt’uno con il mondo e con le cose.
In altre parole, è presente in Marie, come nel suo Jean, la tentazione di regredire ad una specie di condizione pre-natale: non a caso, l’acqua domina, come elemento, l’intero film – il mare, la piscina, la citazione, ripetuta, del libro “Le onde” di Virginia Woolf, che si uccise annegandosi.
L’eterna lotta tra Eros e Tanatos è, dunque, riproposta da Ozon in un’opera raffinata e difficile, riservata ai pochi in grado di cogliere, e di tollerare, lo spiazzamento, la complessità, l’ambiguità del vivere.
di Mariella Cruciani