Smetto quando voglio

L’opera prima di Sydney Sibilia ha il merito di non volere insegnare nulla a nessuno se non come divertire grazie a dialoghi ben costruiti. Dietro l’apparenza di temi seri e sociologicamente importanti, si sviluppa un film intelligente e facilmente appetibile.
Lo sviluppo è quello tipico, finalmente, della vera commedia all’italiana, in cui gli argomenti servono da pretesto per sorridere e ironizzare sulle caratteristiche e i difetti di tutti noi. Può ricordare I soliti ignoti (1958), La banda degli onesti (1956) di Camillo Mastrocinque ma anche l’irriverente comicità del Boris televisivo e cinematografico, data anche la presenza forse non casuale tra i protagonisti di tre dei suoi interpreti.
Trentatreenne dal nome che potrebbe essere un omaggio al grande regista Lumet, l’autore salernitano è giunto al cinema, e poi al lungometraggio, collezionando esperienze lavorative e di vita che gli hanno permesso di avere un occhio attento a quello che gli sta attorno.
Animatore nei villaggi turistici (un classico per i giovani senza lavoro), banconiere in un fast food londinese, infine l’impiego in un’agenzia pubblicitaria in cui ha lavorato quale copywriter. Per vivere realizza vari spot televisivi senza mai dimenticarsi del cinema realizzando alcuni corti molto premiati.
Per capire che aveva stoffa da cineasta, basterà ricordare che ha debuttato a 16 anni con L’ombra della chiave inglese (1998) della durata di 30 minuti, corto girato in pellicola col mitico 8mm con il quale si aggiudica il premio speciale Promesse per il Futuro nell’edizione Tracce Audiovisive. Il film era realizzato con Fabio Ferro con cui scrive, produce, dirige e interpreta da quel momento fino al 2007. Da quell’esperienza in poi sono svariati i progetti ai quali partecipano, come sceneggiatori, registi, produttori ed interpreti: produzioni di cortometraggi, videoclip musicali e preziose collaborazioni con professionisti del panorama cinematografico italiano coautori di una sit-comedy prodotta dalla RAI. Realizzano in toto anche i corti Marzo (2004), Iris Blu (2005), Cachaça (2005) e Noemi (2007). Abbandona la collaborazione con l’amico e coetaneo Fabio Ferro per realizzare il premiatissimo Oggi gira così (2010), prodotto low budget girato in soli quattro giorni di cui uno dedicato agli effetti speciali e alle scene slap stick; vede quale cosceneggiatore Valerio Attanasio, lo stesso che ha con lui collaborato nel lungometraggio.
Iniziato nel maggio dello scorso anno ed ambientato a Roma raccontando con un’ottica diversa i quartieri di Termini, Eur, Ostiense e Torrino, Smetto quando voglio ha un taglio leggero, capace di fare abbassare le difese di fronte ad argomenti molto attuali anche se, in questo caso, raccontati all’interno di una storia estrema, per fortuna non comune nelle nostre cronache.
Bellissima la scena iniziale in cui la Capitale è inquadrata di notte e dall’alto e potrebbe essere una qualsiasi metropoli posta in un qualunque luogo del mondo.
Siamo davanti alla generazione ormai vicina ai quarant’anni che non è riuscita a trovare un suo posto preciso nella società, la tenera coperta protettrice del posto a tempo indeterminato che permette di fare sonni tranquilli o un lavoro autonomo e decoroso che preservi dalla paura del futuro.
Come se questo non bastasse, sono giovani che hanno accontentato i loro genitori, gratificati da una laurea che per quella generazione era ancora vista come il suggello di un futuro felice ed agiato, la sicurezza di avere fatto il massimo come genitori per i loro figli, la possibilità per ceti semplici di sentirsi un po’ più protagonisti di quella società fatta di gente importante che loro identificavano nei ‘dottori’.
I sette personaggi maschili del film di Sydney Sibilia sono tutti laureati in discipline dissimili tra loro ma che, unendo le differenze e utilizzando le potenzialità che ogni corso universitario ha loro donato, riescono a creare un progetto finanziariamente molto interessante, capace sulla carta di renderli felici.
Formano una vera e propria banda in cui ognuno ha un preciso compito e che basa la sua esistenza sulla creazione e commercializzazione di una nuova droga non conosciuta dal Ministero della Salute e, quindi, non illecita.
Tutto parte da Edoardo Leo, geniale ricercatore in Neurobiologia di 37 anni che è vittima dei tagli all’istruzione e deve trovare un modo per sopravvivere senza neppure potere coinvolgere la compagna Valeria Solarino sempre preoccupata per il loro menage finanziario. Scopre una falla nel sistema che gli permetterebbe di gestire una droga sconosciuta e quindi non proibita ma che, in teoria, non potrebbero commercializzare.
Gli altri sono Paolo Calabresi esperto di cartografia archeologica e urbanistica della Roma antica ed autista della Banda, Libero de Rienzo esperto di modelli dinamici con aspettative razionali e mente contabile, Stefano Fresi dipendente dalle droghe pesanti che vive in un perenne stato di alterazione e crea la nuova droga, Pietro Sermonti esperto in mimesi concettuale responsabile dell’invisibilità della banda, Valerio Aprea e Lorenzo Lavia con particolare propensione alla violenza utilizzati all’interno della banda con mansioni da gangster che si scontrano apparentemente con la loro grande cultura che li porta a parlare correntemente latino, greco antico, sanscrito e lingua etrusca con infarinature su molte lingue morte indo europee.
Con questi attori motivati e particolarmente validi, che interpretano personaggi molto ben costruiti in fase di scrittura, Sydney Sibilia ci dona cento minuti di sano divertimento senza volgarità o gag usuali riscoprendo la forza che può avere una sceneggiatura intelligente scritta dal regista assieme a Valerio Attanasio e Andrea Garello.
Pur rappresentando un ottimo esempio di commedia all’italiana, ha un taglio narrativo più scattante, quasi da thriller che ricorda certo cinema statunitense.
Il fatto che Domenico Procacci e la sua Fandango siano coinvolti nel progetto produttivo la dice lunga sulle potenzialità di questo nuovo autore: Procacci è il padre putativo di una miriade di ottimi autori italiani.
Splendida la fotografia firmata da Vladan Radovic che utilizza tonalità di colore aspre e coinvolgenti, molto curate le musiche avvolgenti nelle loro sonorità che racchiudono anche musica etnica bene mixata con sonorità da musica più commerciale curata da Andrea Farri.
Volto noto, notissimo Neri Marcorè che ci dona un malavitoso dal viso torvo e privo di affidabilità.
Non tutto è allo stesso buon livello, soprattutto nella fase avanzata del racconto ci sono alcune cadute di ritmo, ma la follia di momenti spesso surreali, la capacità di coinvolgere situazioni personali nei problemi della banda e, quindi, di questo microcosmo sociale che ha caratteristiche universali simili a quelle di una normale ditta, ripaga di ogni eventuale perdita di interesse.
Trama
Pietro Zinni (Edoardo Leo) va verso i quarant’anni ed è occupato come ricercatore all’Università; è considerato quasi un genio ma questo non è sufficiente per evitargli il licenziamento legato ai tagli alla ricerca. Non sa fare altro, ha una compagna apprensiva, un mutuo da pagare e, per esigenze di sopravvivenza, decide di mettere insieme una banda criminale che possa essere invincibile. Recluta i migliori tra i suoi ex colleghi, che nonostante le competenze vivono ormai tutti ai margini della società, facendo chi il benzinaio, chi il lavapiatti, chi il giocatore di poker. Macroeconomia, Neurobiologia, Antropologia, Lettere Classiche e Archeologia si riveleranno perfette per scalare la piramide malavitosa di un’attività che tutti pensano e sperano sia temporanea.
di Redazione