Saturday Night

La recensione di Saturday Night, di Jaseon Reitman, a cura di Francesco Di Pace.

La carriera di un regista a volte rimane intrappolata nel confronto con un genitore ingombrante: nel caso di Jason Reitman non so se abbiamo smesso di considerarlo “il figlio di Ivan Reitman” a partire dal successo di Juno o dalle candidature all’Oscar per Tra le nuvole. Ma poi il confronto, prima o poi, ritorna, e allora tanto vale viverlo con serenità e sfruttarlo al meglio. E così, dopo aver girato il sequel del Ghostbusters paterno (Ghostbuster: Legacy uscito nel 2021 dopo la sosta pandemica), Jason ha pensato bene di ritornare a un momento cruciale della storia della televisione e della comicità americana, un ambiente che il padre deve aver conosciuto molto bene e da vicino, visto che fu proprio Ivan Reitman a produrre quell’Animal House che fece conoscere Dan Aykroyd e John Belushi al grosso pubblico cinematografico.

Stiamo parlando ovviamente del Saturday Night Live Show, il programma della NBC che rivoluzionò il modo di fare comedy e satira in tv, facendo conoscere al grande pubblico, seppur a ora tarda (in Italia ci tentò Arbore a fare qualcosa di simile diversi anni dopo con “Quelli della notte” e “Indietro tutta”), una serie di comici diventati poi popolarissimi come Chevy Chase, Billy Crystal, Bill Murray, Adam Sandler, Eddie Murphy, Ben Stiller oltre naturalmente ai citati Aykroyd e Belushi. Un programma ormai leggendario e ancora in vita dopo quasi 50 anni, che si è avvalso anche delle ospitate di personaggi già famosi che fanno a gara per partecipare allo show (lo stesso Jason racconta di aver fatto l’autore per una settimana nel 2008) e di presentatori di eccezione come Steve Martin ad esempio.

Saturday Night, presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma (proprio dove Reitman aveva trionfato col suo Juno) racconta il dietro le quinte del primo episodio dello show, andato in onda l’11 ottobre del 1975: un pianosequenza mozzafiato alla Scorsese ci introduce in quello studio NBC al Rockefeller Center di New York dove tutto ebbe inizio e a farci da anfitrione è lo storico produttore e creatore dello show, quel Lorne Michaels (qui interpretato da Gabriel LaBelle, lo Steven Spielberg giovane in The Fabelmans) che lottò contro tutto e tutti per imporre in una tv conservatrice uno show non convenzionale, politicamente scorretto, spesso irriverente verso la religione e la politica. E le difficoltà della prima sera costituiscono il fulcro del film, con i divertenti sotterfugi per aggirare le maglie della censura, il rapporto conflittuale col funzionario della NBC (impersonato da Willem Dafoe) che si convince solo all’ultimo minuto di dar loro fiducia, le bizze fin troppo conosciute di John Belushi e le rivalità tra i membri del cast e naturalmente la droga che scorre a fiumi.

Siamo esattamente a metà dei turbolenti anni settanta e il film non è soltanto la celebrazione di uno show diventato leggenda, ma il ricordo di un epoca di cambiamento e creatività che il mondo dello spettacolo, e non solo, non avrebbe mai più vissuto in maniera così intensa. Camera a mano, dialoghi serrati e divertenti, un montaggio frenetico e una fotografia che si rifanno a tutto l’indipendent cinema di quegli anni: i motivi per godersi il film, credetemi, sono tanti. A partire ovviamente da un gruppo di attori di talento incaricati di rifare i protagonisti dell’epoca: da Matt Wood che ha il compito ingrato di ricordare John Belushi, al Dan Aykroyd di Dylan O’Brien, o Cory Michael Smith che fa Chevy Chase, fino al meraviglioso Nicholas Braun (Succession) nei due ruoli di Jim “Muppet” Henson e Andy Kaufman.


di Francesco Di Pace
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