Perfumed With Mint

La recensione di Perfumed With Mint, di Muhammed Hamdy, a cura di Juri Saitta.

Film d’esordio del direttore della fotografia egiziano Muhammed Hamdy, Perfumed with Mint  racconta di due amici di vecchia data, i trentenni Bahaa e Mahdy, che in una desolata città del nord Africa scappano da ombre inquietanti e girano per case infestate facendo strani incontri.

Qui l’autore narra una vicenda al tempo stesso fantastica e minimale con uno stile visivo ricercato nella gestione dei colori e delle luci, un ritmo compassato e una regia piuttosto rigorosa, che privilegia lunghe inquadrature fisse con una studiata disposizione delle figure nello spazio e lenti movimenti macchina che servono spesso a rivelare, o suggerire, presenze improvvise e inaspettate.

Tutto ciò in un film di fantasmi in cui il mistero e il metafisico sono onnipresenti e che per storia e forma può ricordare vagamente il cinema di Apichatpong Weerasethakul, nonostante l’enorme distanza geografica e culturale tra il regista nordafricano e l’autore thailandese.

Vi è inoltre un marcato intento allegorico, incentrato soprattutto sulla condizione della società egiziana e, più in generale, dei paesi del nord Africa. Infatti, lo stesso Hamdy ha dichiarato che il suo è un film sui dubbi e le paranoie delle nuove generazioni, come in effetti dimostrano i numerosi momenti in cui i protagonisti sono costretti a scappare e a rifugiarsi da ombre inquietanti e pericolose, le quali rappresentano appunto le ansie di una parte di popolazione. Tutte sequenze che possono essere inoltre interpretate come degli indiretti riferimenti alla situazione politica egiziana contemporanea, e in particolare al governo autoritario di al-Sisi, alle sue persecuzioni e al clima  teso che imprime nel Paese, qui ben raffigurato anche dalla città in cui si svolge la vicenda, un luogo straniante e alienante per i suoi edifici fatiscenti, le sue strade desolate e il suo costante silenzio.

Questo in un’opera difficile ma comunque affascinante e interessante, soprattutto come riflesso indiretto dell’attuale condizione psicologica e sociopolitica dei paesi nordafricani.

In concorso alla 39a Settimana della Critica alla 81a Mostra del Cinema di Venezia.


di Juri Saitta
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