Speciale Oscar 2024

Le firme di CineCriticaWeb si confrontano sui loro film preferiti in nomination agli Oscar 2024: una guida cinefila per approfondire queste pellicole.

Mariella Cruciani sceglie
Past Lives

Al termine della visione di Past Lives, opera prima della regista coreana Celine Song, mi è venuto da ripensare a un film apparentemente distante anni luce, Palombella Rossa di Nanni Moretti e, in particolare, alle immagini del Dottor Zivago trasmesse dalla TV. Nella prima, vediamo Lara lasciarsi andare alla nostalgia: “Sarebbe stato bello incontrarci prima…ci saremmo sposati…i figli…”; nella seconda, Zivago vede Lara dal tram, la chiama ma lei non sente, non si volta… Lui riesce, infine, a scendere dal tram ma un attacco di cuore lo uccide. Nonostante le aspettative di tutti, il finale di Pasternak e Lean non cambia: indietro non si torna, non si ricomincia mai da capo! Lo stesso rimpianto, la stessa nostalgia accompagna i protagonisti di Past Lives, Na Young e Hae Sung, amici d’infanzia nella Seoul del 2000, costretti a separarsi per ritrovarsi dodici anni dopo grazie ai social ma ancora destinati a perdersi per incontrarsi ulteriormente quando le loro vite sono, ormai, definite e in coppia con altri. Un melodramma trattenuto e delicato, capace di arrivare a tutti e in cui, più che le parole, contano i gesti, gli atti mancati, il non detto.

Boris Schumacher sceglie
Oppenheimer

Salvo sorprese, la 96ma edizione degli Academy Awards dovrebbe essere nel segno di Christopher Nolan e del suo Oppenheimer, sorretto da un’incredibile regia e da una sapiente abilità narrativa, costruita su tre linee temporali.. Il regista britannico potrebbe quindi aggiudicarsi il suo primo (o i suoi primi) Oscar dopo essere stato candidato in passato in diverse categorie per Memento, Inception e Dunkirk. Oppenheimer è cinema allo stato puro, girato in pellicola e concepito esclusivamente per il grande schermo. Un film maestoso e imponente che nonostante i fitti e continui dialoghi – dal ritmo sostenuto e incessante – si affida alla forza e alla potenza delle immagini. Non a caso il suo apice risiede nella lunga e impressionante scena del Trinity, il test nucleareeseguito nel deserto del Nuovo Messico il 16 luglio 1945 . Uno dei pochi e rari momenti in cui la parola lascia spazio all’immagine e al sonoro, capaci di prendersi la scena con una forza impressionante e inusitata. Una scena incredibilmente ipnotica e suggestiva, in cui il pubblico rimane in apnea, il momento in cui Robert Oppenheimer assiste, sgomento e atterrito, allo scoppio della bomba che tre settimane dopo provocherà morte e distruzione in Giappone, l’attimo in cui the world forever changes.

Emanuele Di Nicola sceglie
American Fiction

Il grande outsider si chiama American Fiction. All’annuncio delle nomination molti sono andati a compulsare il titolo, per verificare cos’è il film di Cord Jefferson candidato a cinque statuette, tra cui miglior film. È la storia di Thelonious Monk, cioè Jeffrey Wright, un autore nero americano mediamente fallito che scrive sotto pseudonimo un romanzo satirico con tutti gli stereotipi sui neri americani (rap, spaccio, famiglie difficili), ossia ciò che il lettore medio bianco ama leggere. Lo scherzo diventa un successo planetario. Col suo congegno intelligente, American Fiction segna il punto: è la prima parodia della cine-narrativa black nell’alveo del film commerciale americano, ha l’acume della novità e la forza del pioniere. Grazie alla prova di Wright e alla diffusa ironia post-alleniana, il racconto è decisamente riuscito. Ma resta un dubbio: come si può chiamare qualcosa che fa la satira di una tendenza e in essa si esaurisce? E se l’anti-stereotipo fosse anch’esso uno stereotipo?

Paola Dei sceglie
Io capitano

Io Capitano di Matteo Garrone è un film che con troppa semplificazione viene da molti definito un’opera sull’emigrazione, che è in realtà solo una parte della materia che lo compone. Il lungometraggio è infatti un’Odissea moderna in cerca di quelle metaforiche Colonne d’Ercole che promettono ai protagonisti di oltrepassare i confini della conoscenza. Ci sono le insidie del deserto, i centri di detenzione in Libia, i pericoli del mare. Ma nell’opera, dove emerge la sensibilità di Matteo Garrone, ci sono soprattutto i sogni e le speranze dei ragazzi che accomunano tutti gli adolescenti del mondo raccontati attraverso gli occhi di Seydou Sarr, il protagonista che, insieme a Moussa, l’altro ragazzo senegalese, tenta la fuga in Italia. Scritto con la collaborazione di Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri, Prodotto da Archimede e Rai Cinema e Distribuito da 01 Distribution, il film evoca anche la favola di Pinocchio, un’opera peraltro rivisitata anni fa dal regista con grande successo. Seydou è il burattino moderno di una favola senza tempo che ha appassionato e ancora appassiona milioni di spettatori, dove ci viene insegnato che l’illuminazione si raggiunge con la volontà; quella che permette al protagonista di superare anche la strada più difficile fargli gridare in una commovente scena finale: “IO CAPITANO!”.

Guido Reverdito sceglie
The Holdovers – Lezioni di vita

A venti anni esatti di distanza dal magnifico Sideways, in The Holdovers – Lezioni di vita Alexander Payne torna a dirigere Paul Giamatti regalandogli l’occasione per rendere memorabile il ritratto dell’ennesimo perdente messo ai margini da una società in cui tutti sgomitano per il successo, ma che finisce col trovare valori autentici solo in quei loser che ricordano al mondo come il mito del sogno americano sia solo un’immagine di facciata. Dietro la quale milioni di sconfitti percorrono con eroica abnegazione le strade secondarie (sideways, appunto) del proprio destino di gregari anonimi. Film carico di nostalgia degli anni ’70 già solo nei tolti di testa, questo romanzo di formazione in viaggio sempre in bilico tra dramma e commedia ha la forza di affrontare con leggerezza malinconica temi grevi ma sempre attuali come il conflitto tra generazioni, gli orrori della guerra, la depressione, il lutto e l’isolamento. E lo fa col tocco delicato di chi – come Payne – ha sempre scelto di raccontare la Vita e il Mondo puntando su antieroi della porta accanto. Come appunto il professore di Paul Giamatti, misantropo dispari che riscopre il valore dell’esistenza in un road movie fisico e mentale nei fantasmi delle proprie idiosincrasie.

Frédéric Pascal sceglie
Past Lives

C’è un qualcosa che sfugge, che corre veloce oltre le barriere dei significati acquisiti dell’amore. È il pensiero che possa esistere il “per sempre”, il legame inscindibile capace di riunire tutte le stagioni della vita per poi riuscire a farle tornare, ogni volta, insieme, nello stesso istante. Past Lives insiste e incide in questo dominio rivelandosi una pellicola dalla molteplice suggestiva natura. L’esordio alla regia di Celine Song, con questa storia dalle venature autobiografiche, risulta un salto nel nostro immaginario di adolescenti, nel cuore della melanconia, o della tenerezza, a seconda del ricordo, di individui diventati adulti e alle prese con la quotidianità di una realtà immaginata quasi sempre diversa. Nora e Hae Sung, i due protagonisti della vicenda, in fondo un po’ ci rappresentano e ci parlano, del passato e del futuro. Molto bravi i due interpreti principali, Greta Lee e Teo Yoo, così come naturale ed efficace risulta essere la fotografia di Shabier Kirchner.

Michela Manente sceglie
La società della neve

Ci sono molti disastri che al cinema sono sono stati immortalati dalla macchina da presa. La tragedia dello schianto sulle Ande del volo 571 dell’aeronautica uruguaiana nel 1972 è uno di questi ma non per via dell’incidente in sé… quanto per come sono riusciti i sedici giovani a non morire. Dopo I sopravvisuti delle Ande di Cardona del 1976, allo notte degli Oscar sapremo se la candidatura nella cinquina della categoria Miglior film straniero (Spagna) è stata favorevole a La società della neve, di Juan Antonio Bayona, tratto dal libro omonimo di Pablo Vierci. La pellicola, film di chiusura a Venezia 80 e vincitore di numerosi riconoscimenti, al moderato spettacolarismo degli effetti speciali aggiunge una fotografia memorabile (anche sul piccolo schermo della distribuzione in italiano di Netflix) del paesaggio andino e il realismo della narrazione condotta da uno dei protagonisti, Numa Turcatti (Enzo Vogrincic), che racconta la tragica storia, lui che è tra i meno fortunati. La mano horror del regista spagnolo rifugge dal rimarcare gli elementi più sanguinolenti della società cannibale per rinforzare il concetto “l’unione fa la forza”, un must tra i rugbisti, quando tutto sembra così ostile tra i ghiacci perenni cileni d’alta quota.

Arianna Vietina sceglie
Past Lives

Il film che potremmo considerare l’outsider tra i candidati al premio Oscar di quest’anno: opera prima, regista donna, una pellicola costruita sull’incontro di sguardi culturali differenti senza però puntare la sua intera promozione sull’esoticità. E questo perché, sebbene i suoi protagonisti siano diversi per etnia o per professione, si trovano a convivere con sensazioni umane che ci accomunano tutti e con cui probabilmente anche gli spettatori hanno avuto a che fare. Il valore aggiunto sta nella delicatezza dei toni, che oscillano tra il divertito e il malinconico, permettendo la convivenza di battute esilaranti e occhi colmi di lacrime. Questo è indicativo dell’originalità e spontaneità di scrittura di Past Lives, su cui poi poggiano soluzioni di regia efficaci e una ottima chimica del cast, composto da volti poco noti che rapidamente stanno diventando indimenticabili.


di Redazione
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