Caracas
La recensione di Caracas, di Marco D'Amore, a cura di Ignazio Senatore.
È nato un (grande) regista. Mettiamoci alle spalle, infatti, L’immortale, spin-off della serie Gomorra. In Caracas, tratto dal romanzo Napoli Ferrovia di Ermanno Rea, Marco D’Amore lascia irrimediabilmente il segno. “Un’immagine vale mille parole. E io cerco di raccontare visivamente”, ripeteva il grande John Ford. E sono ipnotiche, magiche e avvolgenti le immagini che propone il regista casertano, alla sua opera seconda.
Protagonista Toni Servillo, nei panni di Giordano Forte, scrittore in piena crisi creativa, che rientra a Napoli, dopo lunghi anni, e s’imbatte in Caracas (Marco D’Amore), un naziskin che picchia neri e immigrati, ma che, dopo l’incontro con la tenera Yasmina, si converte all’Islam.
Un film visionario, dove, in una Napoli labirintica, umida e piovosa, magrebini ed extracomunitari, si sono mescolati negli anni alla popolazione autoctona che vive nei quartieri popolari che costeggiano la stazione. Una città che lo stesso Giordano Forte non riconosce e che poi, nel corso della vicenda, ritrova e l’aiuta a riscoprire se stesso. L’umanità che D’Amore descrive è quella dispersa, povera, affamata, schiava di droghe, che si aggrappa a ideologie e fanatismi, alla vana ricerca di una ragione per vivere.
In questa terza trasposizione di un romanzo di Ermanno Rea, dopo La stella che non c’è di Gianni Amelio e Nostalgia di Mario Martone, D’Amore, sorretto in sede di sceneggiatura da Francesco Ghiaccio, seppur fedele al testo dello scrittore napoletano, ringiovanisce i protagonisti.
I dialoghi sono da incorniciare: Su tutti quelli che pronuncia Forte “A volte è meglio non sapere le cose. Il bello della vita è proprio questo: ignorare che cosa accadrà domani; anzi, che cosa accadrà tra un istante. Del resto, come potremmo nutrire qualche speranza sul nostro futuro, se lo conoscessimo già?” E successivamente; “Le grandi storie hanno tutte un grande finale.”
D’Amore, che diciottenne calcava le tavole del palcoscenico nella Compagnia di Toni Servillo, in questo film, lo ritrova a distanza di anni, dopo il magnifico Una vita tranquilla di Claudio Cupellini (2010) e ricrea con quello che è stato il suo mentore e maestro, un’alchimia che strega lo spetttatore.
Al di là delle monumentali recitazioni di Servillo e dello stesso D’Amore, il film, prodotto da Mad Entertainmet di Luciano Stella, Vision e Picomedia, si avvale dell’avvolgente fotografia di Stefano Meloni e della suadente colonna sonora di Rodrigo D’Erasmo. In sala dal 29 febbraio. Da non perdere.
di Ignazio Senatore