Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

Se partiamo dal presupposto che il cinema è un’arte prettamente visuale e che l’organizzazione del racconto in senso tradizionale non è un fattore fondamentale per valutare la qualità di un’opera filmica, possiamo porci nei riguardi de Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (lungometraggio vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2010) in maniera costruttiva e lucida.
Apichatpong Weerasethakul è un cineasta e videoartista thailandese che frequenta un territorio creativo del tutto libero dai condizionamenti dei codici che governano le forme d’espressione che predilige. Il suo sguardo è totalmente autonomo ed elabora opere filmiche e artistiche che divengono visualizzazione della filosofia esistenziale che è alla base della sua vita quotdiana e della sua impostazione creativa. In tal senso, Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è un’opera esemplare, rigorosa, totalmente chiara nella sua diversità rispetto ai canoni di un cinema che è spesso costretto ad essere didascalico, cronologico e commerciale (cioè rassicurante per il pubblico).
Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti va fruito in una sorta di relazione soggettiva, dunque del tutto individuale, tra opera e spettatore. Colui che guarda il film diviene recettore (non conclusivo, ma parte di un congegno circolare) di una concezione cinematografica che elimina del tutto la direzione del racconto e il rapporto crudo con i meccansimi della realtà. La dimensione espressiva di Apichatpong Weerasethakul pone il cinema in un territorio evocativo privo di strutture e punti fermi sui quali basare la narrazione. Si tratta di una sorta di circolo virtuoso della rappresentazione che rifiuta di ancorarsi al senso oggettivo del racconto per procedere invece attraverso apparizioni, visioni, improvvise aperture verso prospettive prive di punti di vista certi.
La vicenda del proprietario di un’azienda agricola che sentendo avvicinare l’ora della sua fine entra in comunicazione con i fantasmi delle sua esistenza è dunque organizzata non attraverso una chiave realistico-cronologica ma grazie alla costruzione di un racconto visivo costituito dall’accostamento di situazioni il cui nucleo non risiede nel contenuto quanto piuttosto nella potenza evocativo/visuale delle inquadrature. Apichatpong Weerasethakul applica, dunque, al cinema metodiche compositive e comunicative tipiche della videoarte contemporanea e realizza con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti un’opera di cristallina modernità.
Appare del tutto inutile soffermarsi sulle questioni legate alla sostanza dei contenuti, rischieremmo infatti di trattare superficialmente una concezione filosofica che meriterebbe molto spazio. Ciò che possiamo affermare con compiutezza è che con questo suo lumgometraggio, Apichatpong Weerasethakul comunica a noi occidentali un approccio al tema della morte che ci è totalmente estraneo. Proprio per questo motivo il suo sguardo finisce per divenire il nostro sguardo, in una specie di tensione/attrazione densa, allo stesso tempo, di angoscia ma anche di serenità.
di Maurizio G. De Bonis