Lilo & Stitch
La recensione di Lilo & Stitch, di Dean Fleischer, a cura di Roberto Baldassarre.

Inarrestabile la Disney continua a rendere in carne e ossa – con l’aggiunta di abbondante CGI – il suo abbondante catalogo di cartoons. Lo sviluppo degli effetti speciali ormai consente di tutto, o quasi; quindi, quello che in passato era rappresentabile soltanto con l’animazione, ora è possibile materializzarlo tramite Live Action. Tutti questi remake basicamente sono un’ennesima operazione di marketing, ma – superficialmente – sono anche una maniera per rendere queste favole con morale più identificabili per i bambini. I protagonisti delle vicende o sono animali antropomorfi oppure bambini/adolescenti, perfetti veicoli (i primi sin dai tempi delle favole di Esopo) per insegnare condotta ed etica. Il cartoon Lilo & Stitch (2002) di Chris Sanders e Dean Debois univa ambedue le figure, ed è stato uno dei maggiori successi d’animazione della casa di Mickey Mouse.
Un’opera colorata, divertente, naïf nel disegno e a tratti iconoclasta, attraverso il personaggio del funesto Stitch. Tanto da generare seguiti e un serial per la tv. Lilo & Stitch (2025) di Dean Fleischer Camp raccoglie quegli elementi e li trasla in una versione che segue quella trasgressione calandola però in una realtà più veritiera possibile: la outsider Lilo e le problematiche familiari (lei e sua sorella sono state abbandonate dai genitori). A questo punto questo Live Action va giudicato su due fronti: con l’originale e con il film Disney che lo ha preceduto. Partendo dal secondo caso, Lilo & Stitch non è fallimentare come il remake – adattato al concetto Wokeness – di Biancaneve, perché non cerca forzatamente il politcally correct aggiornando/cancellando quelle specifiche che avevano reso mitica l’opera primigenia.
Mentre il confronto con il cartoon è a suo sfavore. Inevitabilmente, come già accaduto anche con gli altri remake Live Action, anche questo riadattamento perde quella magia narrativa sposando una rappresentazione che sostanzialmente è posticcia. Ingessata nel ritmo e obsoleta nell’umorismo. Quest’ultimo, oltre alle gags “irriverenti” e bizzarre di Stitch, delegato alla coppia demenziale composta da Zach Galifianakis e Billy Magnussen, ennesimi emuli – fisicamente – di Stanlio & Ollio. Di converso Lilo & Stitch versione 2025 ha il pregio, oltre alla già citata elusione del Woke concept, quello di non inserire numeri musicali e allungare la narrazione. Elementi che hanno contribuito alla sconfitta stilistica di questa operazione disneyana di restyling. Ma Lilo & Stitch mette in evidenza anche un altro aspetto, ossia come i registi cooptati non riescono a dare una originalità all’opera/prodotto commissionatagli. Dean Fleischer Camp si era distinto con il cartoon-Live Action Marcel the Shell (Marcel the Shell with Shoes On, 2021), che fu candidato all’Oscar.
Una favola minimalista incentrata su una piccola conchiglia rimasta orfana, e unico conforto familiare l’anziana nonna. In quel caso il sentimentalismo, tranne rari tratti, non eccedeva, e la regia, basata su uno pseudo documentario, funzionava. Mentre qui la pellicola non pare dissimile da una teen comedy anni Novanta. Camp, però, è soltanto l’ultimo (al momento) di quei registi che affogano in questi progetti decisi a tavolino. Forse solo Kenneth Branagh, con Cenerentola (Cinderella, 2015) era riuscito in parte a districarsi. Da aggiungere, come nota cinefila, che Tia Carrere, qui nelle vesti dell’assistente sociale, nell’originale prestava la voce a Nani, la sorella maggiore di Lilo. Mentre il regista Chris Sanders anche questa volta dà voce a Stitch.

di Roberto Baldassarre